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mercoledì 1 dicembre 2010

Fate schifo! (di Stefano Poma)

Ieri pomeriggio mentre parlavo al telefono con Andrea Demontis, m’informava sui contenuti del pezzo che stava scrivendo. La Camera non aveva ancora votato il ddl Gelmini, ma lui aveva già preparato l’articolo in cui ne raccontava l’approvazione e il voto a favore dei finiani. Io allora gli dissi “mi sa che devi riscrivere il pezzo perché vedrai che la Riforma non passerà. Ora che sta cadendo il governo, ma dai, non sono così stupidi”. E sbagliavo.

Con 307 voti favorevoli (anche quelli futuristi) e 252 contrari. E questo mentre il New York Times metteva in prima pagina la notizia degli scontri italiani tra studenti e poliziotti. L’immagine che accompagna l’articolo è stata scattata fuori dal Rettorato di Bologna, e immortala uno studente che, con un salto alla Bruce Lee, tenta di sferrare un calcio in pieno volto al poliziotto protetto da casco, scudo protettivo e manganello in mano. Sotto, la didascalia: “studenti in molte città italiane, compresa Bologna a cui si riferisce la foto, hanno protestato ieri contro l’aumento delle rette e i tagli alla formazione”.

Roma è occupata, Milano è occupata, Napoli è occupata, Palermo, Catania, così come Torino, dove prosegue l’occupazione del Palazzo Nuovo. Il mondo universitario è in ginocchio. Letteralmente allo sbando. E, i nostri parlamentari, la nostra politica, che fa nel momento in cui il governo B annaspa ed è pronto ai titoli di coda? Approva la più grande legge porcata che si poteva immaginare.

Un esempio: non è un fatto comune che, i docenti universitari, non tutti abbiano il titolo di Professore. Molti sono ricercatori. Bene, i dottori sono all’incirca il 40% dei docenti. E, con questa Riforma, all’articolo 12 leggiamo che “le università possono stipulare (ai ricercatori) contratti di lavoro a tempo determinato. Tre anni di contratto rinnovabili solo per altri tre”. E poi? A casa. E, coi tagli, non sarà possibile assumere nuovi ricercatori. Quindi il corpo docente si dimezzerà, in un sistema universitario dove, già oggi, ogni docente arriva ad avere 500 studenti. È capitato al sottoscritto, non è una farneticazione di Travaglio o di Grillo. Con i chiari disagi che si susseguono sia in ambito formativo che in ambito d’esame. Nessuno che può alzare la mano e dire “non ho capito”, perché altrimenti si crea un pollaio peggio di Ballarò. Esiti degli esami che vengono pubblicati sul sito dopo due mesi dalla data d’appello. E così via.

Ma come è possibile che una Riforma così, che in qualsiasi altro Paese del mondo vien definita un suicidio per questa classe dirigente, è riuscita a varare? Una soluzione sarebbe quella di guardare i volti dei nostri parlamentari e dei nostri politici. Se ci soffermassimo a fissarli per qualche minuto forse capiremmo il divario che c’è tra gli studenti e loro. Questa è gente frustrata che, come dice Grillo, non ha mai visto due tette. E, appena il padrone gliene offre “ingenti quantità”, diventano suoi schiavi. E la classe politica, i parlamentari, non rappresentano più il Paese, perdono il loro vincolo verso i cittadini. Si creano un mondo parallelo. Uno strato superiore.

E, questo dispotismo parlamentare, ha origini antichissime. Le prime elezioni per il parlamento che si tennero in Italia nel gennaio del 1861 e, quindi, subito dopo l’unificazione del Paese, volevano avere un carattere democratico. Era il popolo che governava se stesso, in pillole. Ma (non c’era ancora Giolitti e il suo suffragio universale) poterono votare solo 418.696 cittadini. L’1,9% della popolazione italiana. Dopo il viraggio del primo parlamento, un acuto osservatore oggi completamente dimenticato, tale Petruccelli della Gattina, ammoniva tutti gli affabulatori e i venditori ambulanti della parola democrazia. Ricordò che “il primo parlamento italiano comprendeva 2 principi, 3 duchi, 29 conti, 23 marchesi, 26 baroni, 50 commendatori e gran croci, 117 cavalieri, di cui tre della legion d’onore, 135 avvocati, 25 medici, 10 preti, 21 ingegneri, 4 ammiragli, 23 generali, un prelato, 13 magistrati, 52 professori o ex professori, 8 industriali, 13 colonnelli, 19 ex-ministri, 5 consiglieri di Stato, 4 letterati, 2 prodittatori, 2 dittatori, 7 milionari, 5 banchieri, 25 nobili senza specifica di titolo, altri senza alcuna disegnativa di professione e in più il maestro Verdi”. Concludeva il suo discorso con queste parole che, sarebbe bene, rapportarle ai nostri giorni: “non si dirà certo giammai che il nostro è un parlamento democratico del popolo! Vi è di tutto. Eccetto il popolo”.

E, in queste ore, in parlamento anziché della Riforma si stanno preoccupando di commemorare Mario Monicelli, il quale era uno dei più acerrimi nemici di questa classe dirigente. Il quale sin dal primo istante ha criticato questa Riforma. E, se anziché occuparsi dell’uomo Monicelli, ma di quello che pensava e diceva, forse, farebbero un po’ meno schifo. Ma sono parlamentari. E a loro insaputa.

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