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sabato 31 luglio 2010

Afragola, l’ennesimo disastro annunciato Il crollo dovuto ai lavori per la Tav?

Per realizzare la stazione dell'Alta velocità tagliati quattro collettori fognari. Mai ultimato l'allaccio definitivo a una rete più grande. Così ogni pioggia causa allagamenti e mina le fondamenta delle caseC’è la mancata manutenzione, c’è l’abusivismo edilizio, ci sono gli allarmi inascoltati e c’è, immancabile, la “grande opera”. Dietro il crollo della notte scorsa alle porte di Napoli, in cui hanno perso la vita tre persone, ci sono tutti gli ingredienti della più classica delle tragedie annunciate nel Belpaese. I colori sono sempre gli stessi: il nero del fango e del lutto, il rosso del sangue. Il profumo pure è identico a quello di Sarno, di Messina, e di altre centinaia di disastri, piccoli e grandi: è l’odore dei soldi. Tanti, troppi, e sempre dalla parte sbagliata: dalla parte degli speculatori edilizi, degli amministratori inadempienti, della camorra e delle grandi multinazionali del cemento che da queste parti fanno affari miliardari da oltre trent’anni, dal dopo-terremoto fino all’emergenza rifiuti. Spesso, subappaltando i lavori a imprese colluse coi poteri criminali.

È di tre giorni fa l’ultimo provvedimento nei confronti di società legate al potente cartello dei Casalesi: arresti e sequestri per Michele Fontana, detto ‘o sceriffo, il “colletto bianco” di Michele Zagaria, la primula rossa di Gomorra. Non c’era appalto milionario che non lo vedesse protagonista. Nemmeno quelli per l’alta velocità. La “grande opera”, appunto: quella che potrebbe essere tra le concause del cedimento strutturale della palazzina la notte scorsa. «La pioggia non può da sola fare crollare un palazzo» ha detto a caldo il comandante dei vigili del fuoco dopo aver estratto i corpi delle tre vittime dalle macerie di via Calvanese. Una pioggia forse no, ma l’acqua abbondante sì: sono centinaia, forse molte di più le abitazioni in tutta l’area con le fondamenta che “galleggiano” letteralmente sull’acqua. Falde acquifere deviate, sistemi fognari inadeguati, lavori che peggiorano una situazione già seriamente compromessa.

Già un anno fa, proprio nel centro storico di Afragola, un’altra palazzina si era accartocciata su se stessa. Era stata sgomberata, proprio perché ritenuta pericolante. Come buona parte di un centro storico, per il quale il Comune non è in grado di sbloccare 31 milioni di euro di fondi per la riqualificazione, già stanziati da un progetto della Comunità europea. Costruzioni in tufo che risalgono ai primi anni ‘40, su cui non di rado sono stati realizzati appartamenti in sopraelevazione. Dalla sera alla mattina, le casette a un piano sono diventate palazzine pluri-familiari dietro lo scudo dell’abuso di necessità, con la complicità di amministratori che hanno costruito la propria fortuna sulla promessa di condoni edilizi puntualmente accordati. Ad Afragola, su 70mila abitanti, la metà vive in case costruite senza permessi. Lì, dove persino il pane è abusivo: dei mille forni illegali scovati dai Carabinieri nell’intera provincia di Napoli, la metà ricade in quel comune. E pure la nuova lottizzazione della società che fa capo a Vincenzo Nespoli, il sindaco-senatore per il quale la Camera ha respinto la richiesta d’arresto avanzato dalla Procura di Napoli, era in parte irregolare.

L’ultimo colpo di grazia a un territorio martoriato da anni di sciacallaggio e di mancato controllo, lo hanno dato i lavori per l’Alta velocità: ad Afragola sorgerà la “Porta di Napoli” della TAV, la stazione principale di tutto il circondario. Doveva essere inaugurata nel 2008, ma i lavori non sono ancora stati ultimati. Così come non è stato terminato nemmeno l’allaccio definitivo a un grande collettore fognario, che avrebbe risolto il grave problema di Afragola e di una mezza dozzina di comuni limitrofi: gli allagamenti continui alle prime piogge. Un’opera da 12 milioni di euro, fondamentale dopo che i lavori per la realizzazione della nuova stazione hanno comportato il taglio netto di ben quattro collettori fognari, ritenuti di vitale importanza per lo smaltimento delle acque nere dai tecnici dell’ex consorzio idrico. Questo perché, Afragola è tutta costruita su un territorio in pendenza.

In pratica, per quelle fogne passano le acque di tutto il circondario, persino di una zona periferica del capoluogo partenopeo. Vale a dire, gli scarichi di una popolazione di circa 300mila persone. Per questo, ogni volta che piove i tombini di Afragola zampillano come le fontane di Versailles: fetidi, meno romantici ma ad alta velocità. Inevitabile che quelle acque nel sottosuolo vadano a minare le fondamenta dei palazzi. In molti denunciano gli scricchiolii sinistri che avvertono sempre di più nelle loro case. Inascoltati. Come quei cittadini di Casalnuovo di Napoli, proprio al confine con Afragola, che si ritrovano cantine e tavernette allagate. La causa? Sempre la stessa: i lavori per l’Alta velocità. Tre i viadotti previsti sul territorio, altrettanti interventi di deviazione della falda acquifera e dei canali di scolo che fanno salire vertiginosamente il livello dell’acqua nel sottosuolo. Due mesi fa l’ultimo allarme degli esperti alla stampa: «Si assiste – ha dichiarato il geologo Riccardo Caniparoli – all’assurdità che, dopo la realizzazione del Centro direzionale di Napoli, si vada ad edificare il tracciato della Tav nella medesima valle alluvionale, con le stesse tecniche e impostazioni metodologiche progettuali che hanno prodotto i medesimi danni al territorio e dove si ripresentano i medesimi effetti indesiderati di rigurgito in superficie della falda idrica».

Usa. Malato Sla chiede di poter donare organi vitali prima che malattia lo uccida

Un uomo affetto dal morbo di Lou Gehrig chiede di poter morire attraverso la donazione dei propri organi, anziché attendere che sia la terribile malattia neurodegenerativa a ucciderlo.
Garry Phebus, 61 anni, lotta contro la sclerosi laterale amiotrofica dal 2008. In una intervista alla Cnn ha detto che la diagnosi è "una condanna a morte, senza scappatoia, senza possibilità di appello", e che vuole donare i suoi organi fintato che è in grado di farlo.



"Se a qualcuno vengono amputate le gambe o la moglie lo lascia e si suicida, è un'altra storia. Ha ancora una vita davanti a sé. Ma io no", ha detto. E per le persone in attesa di un trapianto, "Non c'è niente di più straordinario del ricevere un organo in modo che un familiare possa vedere la sua famiglia crescere."
Il morbo di Lou Gehrig attacca il sistema nervoso nel cervello e nel midollo spinale, colpendo il controllo volontario dei muscoli. Nelle sue fasi successive, la malattia può lasciare i malati paralizzati, ma pienamente coscienti e vigili.
Phebus ha ammesso che la sua decisione "non fa per tutti", ma ha detto che la sua famiglia lo supporta. La figlia Kerri Wilkinson ha spiegato: "Ci siamo detti: OK, bene, non dobbiamo farlo in questo preciso istante, ma intanto cerchiamo di saperne di più su questa possibilità". Ma quando la malattia di suo padre "arriva al punto in cui ha perso il suo orgoglio o viene umiliato dal modo in cui lui è costretto a soffrire ... non avremo alcun problema con questa decisione".
L'offerta Phebus "è ammirevole, e a lui va tutta la nostra compassione," ha commentato Leigh Vinocur, specialista in medicina d'urgenza presso l'Università del Maryland. "Ma il 10 per cento dei malati puo' vivere 20 anni con questa malattia."
Vinocur considera la richiesta di Phebus suicidio medicalmente assistito, una pratica legale solo in tre Stati degli Stati Uniti -Oregon, Washington e Montana. E in quegli Stati, i pazienti che cercano di porre fine alla loro vita sono in genere nelle ultime fasi di una malattia terminale.
"Preleviamo gli organi a pazienti che, per esempio, sono cerebralmente morti o sono in fase terminale", ha detto. La maggior parte dei medici "avrebbe problemi" a fare quello che chiede Phebus, perché "in questo momento, è abbastanza sano."
"Non riesco a immaginarmi, in sostanza, il mettere in questo momento un uomo relativamente sano sotto anestesia, espiantare gli organi vitali come il cuore e staccargli il respiratore", ha detto Vinocur.
Phebus si sta ora mobilitando on-line. In un video pubblicato su YouTube, sostiene che 90.000 persone muoiono ogni anno in attesa di trapianti di organi, e paragona la sua situazione a un soldato in trincea che si butta su una granata per salvare i suoi compagni.
"Io non sono suicida," dice. "So solo che si tratta di una questione di tempo prima di morire e desidero fare una cosa buona per tutti coloro che invece hanno una buona aspettativa di vita".

Vaffansilvio (parodia di Vaffanculo di M. Masini) - TONY TROJA

Lotta alla prostituzione, Governo chiude il Numero Verde Antitratta

Non si placa la polemica a Roma e in Parlamento scaturita dalle recenti ordinanze antiprostituzione messe in atto dal Ministero per le Pari Opportunità, in particolare per la decisione di sopprimere le 14 postazioni locali del Numero Verde Nazionale Antitratta con un’unica postazione centrale.



Il servizio telefonico gratuito - attivo 24 ore su 24 su tutto il territorio nazionale dal gennaio 2007 - si proponeva quale efficace strumento informativo in grado di prestare tutela e assistenza alle vittime del racket e combattere il fenomeno criminale. La denuncia riguarda la considerazione che nel bilancio di previsione relativo al biennio 2010/2011 sarebbero scomparsi 2,5 milioni di euro precedentemente stanziati, per cui verrebbe azzerato il fondo destinato al finanziamento dei progetti contro la tratta e il grave sfruttamento previsti dall’art. 13 della legge 228/2003 (“Misure contro la tratta di persone”).

Lapidario il commento di Lucio Babolin, presidente del Cnca (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza), che chiedendo al Governo di restituire prontamente il fondo sottolinea che le difficoltà di bilancio non possono giustificare il taglio dei fondi: “2,5 milioni di euro sono niente per le finanze dello Stato e tantissimo per chi si batte contro racket e sfruttatori, gli unici che brinderebbero a una tale decisione.” Sui recenti tagli interviene anche la vicepresidente della Provincia di Genova, Marina Dondero, che così commenta la decisione: “Non si risponde alla crisi economica tagliando le risorse sociali a progetti che da anni ottengono ottimi risultati nell’emersione delle vittime di tratta e nella lotta ai racket”.

Passando alla delicata questione che investe la Capitale, si erano già espressi nei giorni scorsi i consiglieri dell’Udc del VII e X Municipio, Patrizio Platania e Fabrizio Matturro, evidenziando come “nelle periferie il problema prostituzione non sembra affatto risolto, infatti se si percorre tutta la Via Palmiro Togliatti si possono contare ogni sera più di 100 prostitute e altrettanti clienti”. Sulla stessa linea, arrivano le dichiarazioni di Claudio Di Berardino, segretario generale della Cgil di Roma e del Lazio e Salvatore Marra, responsabile Ufficio Nuovi diritti della Cgil di Roma e del Lazio, che in una nota congiunta evidenziano: “Dopo le ordinanze del Sindaco Alemanno contro la prostituzione, il cui risultato è stato solo spostare il fenomeno verso le fasce esterne della provincia di Roma limitrofe al Comune e sempre più al chiuso, giunge dal Ministero per le Pari Opportunità un ulteriore stimolo alla prostituzione coatta e ai meccanismi malavitosi che la contraddistinguono”.

Sempre in materia di lotta alla tratta e allo sfruttamento della prostituzione, lo stesso Di Berardino qualche giorno addietro faceva riferimento anche alla presunta chiusura del Progetto Roxanne (attività di prevenzione, aiuto e invio ai servizi di persone vittime della tratta sessuale). Secca la smentita di Giordano Tredicine (Pdl), presidente Commissione Politiche Sociali del Comune di Roma, che rassicura: “Il servizio, lo ribadiamo per l'ennesima volta, non è affatto chiuso né qualcuno ha mai ipotizzato la sua sospensione. Invitiamo, dunque, a non rilasciare dichiarazioni fuorvianti e destituite di qualsiasi fondamento in merito e che rischiano di generare solamente inutili allarmismi”. È evidente come la polemica non sembra ancora rientrare e il fenomeno della tratta sia tutt’altro che debellato.

venerdì 30 luglio 2010

"Grazie caro papà" - LETTERA DEL FIGLIO DI PAOLO BORSELLINO

MANFREDI BORSELLINO. Il primo pomeriggio di quel 23 maggio studiavo a casa dei miei genitori, preparavo l’esame di diritto commerciale, ero esattamente allo “zenit” del mio percorso universitario. Mio padre era andato, da solo e a piedi, eludendo come solo lui sapeva fare i ragazzi della scorta, dal barbiere Paolo Biondo, nella via Zandonai, dove nel bel mezzo del “taglio” fu raggiunto dalla telefonata di un collega che gli comunicava dell’attentato a Giovanni Falcone lungo l’autostrada Palermo-Punta Raisi.

Ricordo bene che mio padre, ancora con tracce di schiuma da barba sul viso, avendo dimenticato le chiavi di casa bussò alla porta mentre io ero già pietrificato innanzi la televisione che in diretta trasmetteva le prime notizie sull’accaduto. Aprii la porta ad un uomo sconvolto, non ebbi il coraggio di chiedergli nulla né lui proferì parola.

Si cambiò e raccomandandomi di non allontanarmi da casa si precipitò, non ricordo se accompagnato da qualcuno o guidando lui stesso la macchina di servizio, nell’ospedale dove prima Giovanni Falcone, poi Francesca Morvillo, gli sarebbero spirati tra le braccia. Quel giorno per me e per tutta la mia famiglia segnò un momento di non ritorno. Era l’inizio della fine di nostro padre che poco a poco, giorno dopo giorno, fino a quel tragico 19 luglio, salvo rari momenti, non sarebbe stato più lo stesso, quell’uomo dissacrante e sempre pronto a non prendersi sul serio che tutti conoscevamo.

Ho iniziato a piangere la morte di mio padre con lui accanto mentre vegliavamo la salma di Falcone nella camera ardente allestita all’interno del Palazzo di Giustizia. Non potrò mai dimenticare che quel giorno piangevo la scomparsa di un collega ed amico fraterno di mio padre ma in realtà è come se con largo anticipo stessi già piangendo la sua.
Dal 23 maggio al 19 luglio divennero assai ricorrenti i sogni di attentati e scene di guerra nella mia città ma la mattina rimuovevo tutto, come se questi incubi non mi riguardassero e soprattutto non riguardassero mio padre, che invece nel mio subconscio era la vittima. Dopo la strage di Capaci, eccetto che nei giorni immediatamente successivi, proseguii i miei studi, sostenendo gli esami di diritto commerciale, scienze delle finanze, diritto tributario e diritto privato dell’economia. In mio padre avvertivo un graduale distacco, lo stesso che avrebbero percepito le mie sorelle, ma lo attribuivo (e giustificavo) al carico di lavoro e di preoccupazioni che lo assalivano in quei giorni. Solo dopo la sua morte seppi da padre Cesare Rattoballi che era un distacco voluto, calcolato, perché gradualmente, e quindi senza particolari traumi, noi figli ci abituassimo alla sua assenza e ci trovassimo un giorno in qualche modo “preparati” qualora a lui fosse toccato lo stesso destino dell’amico e collega Giovanni.

La mattina del 19 luglio, complice il fatto che si trattava di una domenica ed ero oramai libero da impegni universitari, mi alzai abbastanza tardi, perlomeno rispetto all’orario in cui solitamente si alzava mio padre che amava dire che si alzava ogni giorno (compresa la domenica) alle 5 del mattino per “fottere” il mondo con due ore di anticipo. In quei giorni di luglio erano nostri ospiti, come d’altra parte ogni estate, dei nostri zii con la loro unica figlia, Silvia, ed era proprio con lei che mio padre di buon mattino ci aveva anticipati nel recarsi a Villagrazia di Carini dove si trova la residenza estiva dei miei nonni materni e dove, nella villa accanto alla nostra, ci aveva invitati a pranzo il professore “Pippo” Tricoli, titolare della cattedra di Storia contemporanea dell’Università di Palermo e storico esponente dell’Msi siciliano, un uomo di grande spessore culturale ed umano con la cui famiglia condividevamo ogni anno spensierate stagioni estive.

Mio padre, in verità, tentò di scuotermi dalla mia “loffia” domenicale tradendo un certo desiderio di “fare strada” insieme, ma non ci riuscì. L’avremmo raggiunto successivamente insieme agli zii ed a mia madre. Mia sorella Lucia sarebbe stata impegnata tutto il giorno a ripassare una materia universitaria di cui avrebbe dovuto sostenere il relativo esame il giorno successivo (cosa che fece!) a casa di una sua collega, mentre Fiammetta, come è noto, era in Thailandia con amici di famiglia e sarebbe rientrata in Italia solo tre giorni dopo la morte di suo padre.
Non era la prima estate che, per ragioni di sicurezza, rinunciavamo alle vacanze al mare; ve ne erano state altre come quella dell’85, quando dopo gli assassini di Montana e Cassarà eravamo stati “deportati” all’Asinara, o quella dell’anno precedente, nel corso della quale mio padre era stato destinatario di pesanti minacce di morte da parte di talune famiglie mafiose del trapanese. Ma quella era un’estate particolare, rispetto alle precedenti mio padre ci disse che non era più nelle condizioni di sottrarsi all’apparato di sicurezza cui, soprattutto dolo la morte di Falcone, lo avevano sottoposto, e di riflesso non avrebbe potuto garantire a noi figli ed a mia madre quella libertà di movimento che negli anni precedenti era riuscito ad assicurarci.

Così quell’estate la villa dei nonni materni, nella quale avevamo trascorso sin dalla nostra nascita forse i momenti più belli e spensierati, era rimasta chiusa. Troppo “esposta” per la sua adiacenza all’autostrada per rendere possibile un’adeguata protezione di chi vi dimorava. Ricordo una bellissima giornata, quando arrivai mio padre si era appena allontanato con la barchetta di un suo amico per quello che sarebbe stato l’ultimo bagno nel “suo” mare e non posso dimenticare i ragazzi della sua scorta, gli stessi di via D’Amelio, sulla spiaggia a seguire mio padre con lo sguardo e a godersi quel sole e quel mare.
Anche il pranzo in casa Tricoli fu un momento piacevole per tutti, era un tipico pranzo palermitano a base di panelle, crocché, arancine e quanto di più pesante la cucina siciliana possa contemplare, insomma per stomaci forti. Ricordo che in Tv vi erano le immagini del Tour de France ma mio padre, sebbene fosse un grande appassionato di ciclismo, dopo il pranzo, nel corso del quale non si era risparmiato nel “tenere comizio” come suo solito, decise di appisolarsi in una camera della nostra villa. In realtà non dormì nemmeno un minuto, trovammo sul portacenere accanto al letto un cumulo di cicche di sigarette che lasciava poco spazio all’immaginazione.

Dopo quello che fu tutto fuorché un riposo pomeridiano mio padre raccolse i suoi effetti, compreso il costume da bagno (restituitoci ancora bagnato dopo l’eccidio) e l’agenda rossa della quale tanto si sarebbe parlato negli anni successivi, e dopo avere salutato tutti si diresse verso la sua macchina parcheggiata sul piazzale limitrofo le ville insieme a quelle della scorta. Mia madre lo salutò sull’uscio della villa del professore Tricoli, io l’accompagnai portandogli la borsa sino alla macchina, sapevo che aveva l’appuntamento con mia nonna per portarla dal cardiologo per cui non ebbi bisogno di chiedergli nulla. Mi sorrise, gli sorrisi, sicuri entrambi che di lì a poche ore ci saremmo ritrovati a casa a Palermo con gli zii.
Ho realizzato che mio padre non c’era più mentre quel pomeriggio giocavo a ping pong e vidi passarmi accanto il volto funereo di mia cugina Silvia, aveva appena appreso dell’attentato dalla radio. Non so perché ma prima di decidere il da farsi io e mia madre ci preoccupammo di chiudere la villa. Quindi, mentre affidavo mia madre ai miei zii ed ai Tricoli, sono salito sulla moto di un amico d’infanzia che villeggia lì vicino ed a grande velocità ci recammo in via D’Amelio.

Non vidi mio padre, o meglio i suoi “resti”, perché quando giunsi in via D’Amelio fui riconosciuto dall’allora presidente della Corte d’Appello, il dottor Carmelo Conti, che volle condurmi presso il centro di Medicina legale dove poco dopo fui raggiunto da mia madre e dalla mia nonna paterna. Seppi successivamente che mia sorella Lucia non solo volle vedere ciò che era rimasto di mio padre, ma lo volle anche ricomporre e vestire all’interno della camera mortuaria. Mia sorella Lucia, la stessa che poche ore dopo la morte del padre avrebbe sostenuto un esame universitario lasciando incredula la commissione, ci riferì che nostro padre è morto sorridendo, sotto i suoi baffi affumicati dalla fuliggine dell’esplosione ha intravisto il suo solito ghigno, il suo sorriso di sempre; a differenza di quello che si può pensare mia sorella ha tratto una grande forza da quell’ultima immagine del padre, è come se si fossero voluti salutare un’ultima volta.

La mia vita, come d’altra parte quella delle mie sorelle e di mia madre, è certamente cambiata dopo quel 19 luglio, siamo cresciuti tutti molto in fretta ed abbiamo capito, da subito, che dovevamo sottrarci senza “se” e senza “ma” a qualsivoglia sollecitazione ci pervenisse dal mondo esterno e da quello mediatico in particolare. Sapevamo che mio padre non avrebbe gradito che noi ci trasformassimo in “familiari superstiti di una vittima della mafia”, che noi vivessimo come figli o moglie di ….., desiderava che noi proseguissimo i nostri studi, ci realizzassimo nel lavoro e nella vita, e gli dessimo quei nipoti che lui tanto desiderava. A me in particolare mi chiedeva “Paolino” sin da quando avevo le prime fidanzate, non oso immaginare la sua gioia se fosse stato con noi il 20 dicembre 2007, quando è nato Paolo Borsellino, il suo primo e, per il momento, unico nipote maschio.

Oggi vorrei dire a mio padre che la nostra vita è sì cambiata dopo che ci ha lasciati ma non nel senso che lui temeva: siamo rimasti gli stessi che eravamo e che lui ben conosceva, abbiamo percorso le nostre strade senza “farci largo” con il nostro cognome, divenuto “pesante” in tutti i sensi, abbiamo costruito le nostre famiglie cui sono rivolte la maggior parte delle nostre attenzioni come lui ci ha insegnato, non ci siamo “montati la testa”, rischio purtroppo ricorrente quando si ha la fortuna e l’onore di avere un padre come lui, insomma siamo rimasti con i piedi per terra. E vorrei anche dirgli che la mamma dopo essere stata il suo principale sostegno è stata in questi lunghi anni la nostra forza, senza di lei tutto sarebbe stato più difficile e molto probabilmente nessuno di noi tre ce l’avrebbe fatta.

Mi piace pensare che oggi sono quello che sono, ossia un dirigente di polizia appassionato del suo lavoro che nel suo piccolo serve lo Stato ed i propri concittadini come, in una dimensione ben più grande ed importante, faceva suo padre, indipendentemente dall’evento drammatico che mi sono trovato a vivere.
D’altra parte è certo quello che non sarei mai voluto diventare dopo la morte di mio padre, una persona che in un modo o nell’altro avrebbe “sfruttato” questo rapporto di sangue, avrebbe “cavalcato” l’evento traendone vantaggi personali non dovuti, avrebbe ricoperto cariche o assunto incarichi in quanto figlio di …. o perché di cognome fa Borsellino. A tal proposito ho ben presente l’insegnamento di mio padre, per il quale nulla si doveva chiedere che non fosse già dovuto o che non si potesse ottenere con le sole proprie forze. Diceva mio padre che chiedere un favore o una raccomandazione significa mettersi nelle condizioni di dovere essere debitore nei riguardi di chi elargisce il favore o la raccomandazione, quindi non essere più liberi ma condizionati, sotto il ricatto, fino a quando non si restituisce il favore o la raccomandazione ricevuta.

Ai miei figli, ancora troppo piccoli perché possa iniziare a parlargli del nonno, vorrei farglielo conoscere proprio tramite i suoi insegnamenti, raccontandogli piccoli ma significativi episodi tramite i quali trasmettergli i valori portanti della sua vita.

Caro papà, ogni sera prima di addormentarci ti ringraziamo per il dono più grande, il modo in cui ci hai insegnato a vivere.

Il Pdl è (finalmente) a pezzi

Il Pdl incrinato ha preso il colpo di grazia durante la riunione all’ufficio di presidenza del partito. In meno di un’ora il presidente della Camera Gianfranco Fini è diventato nero su bianco “incompatibile con i principi ispiratori del Popolo della Libertà“. I prinicipi ispiratori del partito dell’amore sono il divieto al dissenso, il divieto all’opposizione e al confronto in particolare su tematiche riguardanti l’ uguaglianza dei cittadini e il rispetto dell’equilibrio dei poteri garantiti dalla Costituzione italiana. Nel Pdl è vietato chiedere legalità, e dovrebbe essere sottinteso elogiare condannati per mafia come i Dell’Utri, oltre che sostenere picciotti di cricche e logge varie nel nome di quell’unità che puzza di regime putinian-comunista.

Nel popolo della libertà l’unica libertà se la prende l’assolutista Silvio Berlusconi, imputato in tre processi per appropriazione indebita e frode fiscale, corruttore di testimoni e di giudici, pluriprescritto e autoassolto oltre che editore e controllore dei principali canali televisivi nazionali da almeno un ventennio.
Il popolo della libertà vorrebbe fregiarsi del potere di far dimettere Fini dalla carica di presidente della Camera. Ma non lo può fare. Infatti Fini ha già dichiarato che non si dimetterà.

Forse, da domani, avremo un parlamento meno assolutista e meno totalitarista. Per ottenere questa scissione nel principale partito di governo e di maggioranza relativa, ci sono volute leggi sempre più fasciste e improponibili, che vanno dal razzismo verso l’immigrazione fino al tentativo di imbavagliare le opinioni dei cittadini su web. Oltre che progetti per azzoppare la giustizia togliendo ai magistrati la facoltà di utilizzare lo strumento efficacissimo delle intercettazioni telefoniche e ambientali. Davvero troppo! non solo per Fini e i finiani. Ma anche per tanti deputati dello stesso Pdl che non ne possono più dei capricci del nano corruttore. Deputati che non dormono sonni tranquilli perché sanno che al di fuori dei palazzi c’è un’Italia in crisi senza soldi, senza prospettive e senza lavoro.

Per chiudere questa orrenda parentesi politica italiana dobbiamo sperare nei franchi tiratori. Il vero cruccio del nano. Infatti, la sceneggiata con Fini “cacciato” è soltanto la foglia di fico al problema vero che riguarda il consenso verso il kapo.
Noi attendiamo fiudiciosi la resa. Il logorio interno al centrodestra potrebbe minare la tenuta del governo ben prima del 2013. Magari tra qualche settimana parleremo di elezioni anticipate. Non so se sarà un sogno o un incubo.

giovedì 29 luglio 2010

Greenpeace: le analisi confermano campo di mais ogm in Friuli

FIRENZE. Dopo la denuncia di Legambiente e di tutta la Task force Ogm sul campo di mais transgenico nel comune di Fanna in provincia di Pordenone, è arrivata la conferma da parte di Greenpeace che ha fatto analizzare, da un laboratorio certificato, dei campioni prelevati nei giorni scorsi. Si tratta di MON810, un mais Ogm brevettato dalla statunitense Monsanto. «Greenpeace ha scoperto in pochi giorni quello che le autorità avrebbero dovuto dire da tempo, rivelando la fonte della contaminazione transgenica. Siamo di fronte a un atto assolutamente irresponsabile oltre che illegale- ha denunciato Federica Ferrario, responsabile della campagna Ogm dell'associazione ambientalista - Il mais è già completamente fiorito e da giorni sta disseminando il proprio polline sui campi adiacenti e su una vasta area, trasportato dal vento e dagli insetti».

Greenpeace ricorda che il campo Ogm in Friuli viola il Decreto Legislativo 24 aprile 2001, n. 212, che prevede il rilascio di una specifica autorizzazione per la loro semina, in assenza della quale è prevista la pena dell'arresto da sei mesi a tre anni o dell'ammenda fino a 51.700 euro. Inoltre il Decreto firmato lo scorso aprile dai Ministri di agricoltura, salute e ambiente, vieta in modo specifico di coltivare mais Ogm MON810 in Friuli. Tali disposizioni mirano a garantire i prodotti tradizionali e biologici dalla contaminazione con quelli transgenici e a evitare un danno all'ambiente.

«Il Procuratore di Pordenone, Antonio Delpino - ha continuato Ferrario - non può più perdere un solo minuto di tempo e deve porre fine a questa incomprensibile dilazione dei tempi. Va incriminato il responsabile di questa violazione e chi l'ha aiutato, e bisogna iniziare la conta dei danni legati a questo atto scellerato, che non devono certo ricadere sugli agricoltori onesti o sugli Enti pubblici» ha concluso l'esponente di Greenpeace. L'associazione ambientalista si attende ora un intervento immediato del ministro dell'Agricoltura, Giancarlo Galan, a difesa degli agricoltori friuliani, e del ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo, a difesa della biodiversità del nostro Paese.

Golfo del Messico, marea nera: i cento giorni della vergogna

A cento giorni dall’esplosione della piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico ed a tredici dall’ultima tappatura della falla avvenuta con successo, il futuro CEO della Bp, lo stanunitense Bob Dudley, afferma che finalmente il peggio potrebbe essere alle spalle.

“Ritengo, anche se non ci sono garanzie, che dal 14 luglio non sgorgherà più petrolio nelle acque del Golfo“. Parole e musica di Robert Dudley, lo statunitense destinato alla sostituzione dal prossimo ottobre di Tony Hayward nell’organigramma della British Petroleum, rilasciate in un’intervista trasmessa dalla CNN nel corso del programma Morning America. Dudley ha anche aggiunto che la soluzione della crisi è “la principale priorità della Bp affinchè la stessa possa andare avanti. L’unico modo per ricostruirsi una reputazione, al di là delle parole, è agire. Parlando con la gente mi sono reso conto che si pensa che, non appena il tappo funziona, non aspettiamo altro che fare i bagagli e scappare. Non è affatto così. Abbiamo moltissime cose da fare. Un sacco di pulizie da effettuare. Da stamane abbiamo staccato assegni per un quarto di miliardo di dollari. C’è ancora molto da fare, e sappiamo di non essere stati impeccabili in questo sinora. Ma è mio impegno personale di mantenere le promesse“.



Insomma “fatti, non parole” sembra essere il refrain in casa Bp per ripulirsi agli occhi dell’opinione pubblica mondiale una reputazione inquinata tanto quanto le acque del Golfo . Giorni in cui il colosso petrolifero britannico, dopo aver ignorato i risultati dei test di sicurezza che preannunciavano l’imminente disastro, si è particolarmente distinto per aver emblematicamente rappresentato il malaffare imperante nei cda delle ‘Big Oil’ planetari, per i suoi maldestri tentativi di tappare la falla nonchè di mistificare la realtà mediante corruzione ed ostacolamento della libertà di informazione (fino alla vergognosa esposizione di immagini taroccate del centro anticrisi di Houston), in particolare per menzogne raccontate al mondo intero senza vergogna come quella che l’oramai ex amministratore delegato Tony Hayward provò a raccontare alle telecamere di Sky News a meno di un mese di distanza dall’incidente accorso alla Deepwater Horizon: “Questo disastro alla fine avrà un impatto molto, molto modesto“. Proprio lui, l’impareggiabile CEO, “l’uomo più odiato ed ignorante degli Stati Uniti d’America” diviene suo malgrado protagonista-simbolo del ‘new deal’ Bp. Hayward, una volta lasciata la sua carica di CEO, secondo quanto riferito dall’Associated Press, andrà a ricoprire un ruolo non esecutivo e senza responsabilità dirette nella controllata joint-venture russa Tnk a cui capo fino al 2008 vi è stato proprio il suo successore Dudley. Tnk i cui pozzi petroliferi sono dislocati in larghissima parte nella tundra siberiana, per quanto la società stia spingendo per dare il via a trivellazioni offshore nel mar Caspio. Compito di Hayward sarebbe quello di implementare l’espansione del gruppo oltre i confini della Federazione Russa, ma occupando una poltrona che sostanzialmente non gli conferisce alcun potere decisionale ed in un contesto in cui il peso degli azionisti russi è rilevante al di là della spartizione 50-50 delle cariche amministrative. In sostanza, come avveniva ai tempi dello stalinismo con i nemici del regime, anche mr. “Public Enemy N.1″ (appellativo usato negli States per definire Hayward) è stato spedito in Siberia!
Il ‘povero’ Hayward, anche se al freddo, avrà comunque modo di asciugarsi le lacrime con fazzoletti di seta purissima: una volta lasciata vacante la sua sedia di Chief Executive Officer, riceverà un’annualità di salario pari a circa 1,5 milioni di dollari ed un fondo pensione di circa 17 (costituito con i contributi di 28 anni di lavoro in Bp). (9online.it)

mercoledì 28 luglio 2010

CI IMBAVAGLIANO O CI FACCIAMO IMBAVAGLIARE?

Magari passerà anche la legge che vorrebbe imbavagliare i blog, ma non è questo il problema.


Il problema è se i bloggers lasceranno che questa legge funzioni.

Mi spiego: la mia posizione è abbastanza chiara: questa legge è stata partorita da un manipolo di gente che non esito a definire delinquenti, in primis il sedicente presidente del consiglio.
Non ho tempo né voglia di star qui a magnificare le doti di Dell'Utri, Previti, Cosentino, Verdini
& c. nè voglia e tempo di disquisire sul fatto che tuttora c'è un timido tentativo di definire se e come Forza Italia sia nata da un patto fra mafia e politica e sulla pelle di Falcone e Borsellino.
Sono questioni che chiunque abbia seguito la scena politica degli ultimi vent'anni non ha bisogno di chiarire, gli effetti sono sotto gli occhi di chi ha vista per vedere.
Così come per le stragi di Stato.

Ora, che io debba farmi dire se posso o meno esprimere una libera opinione da questa gente qua è roba che non esiste al mondo, qui, fuori di qui e all'estero.

Quindi la reazione che mi auspico arrivi dalla blogsfera dovrebbe essere quella di non riconoscere questo governo come interlocutore.
In maniera compatta e monolitica.
Perché loro faranno tutto quello che gli permetteremo di fare e ci deve essere un limite a quello che questa gente può permettersi di fare.

Quindi per quanto mi riguarda quella legge non esiste, non è mai stata scritta e non entrerà mai in vigore.
Dirò di più, non riconosco a questo governo l'autorità di decidere cosa posso o non posso scrivere nel MIO blog né in quello di chiunque altro.

E' bello costruirsi leggi a proprio uso e consumo quando si è dei mafiosi delinquenti, purtroppo le persone oneste non hanno queste possibilità, ma lasciarsi impunemente imbavagliare da costoro significa diventarne complici, perché poi pretenderanno ancora di più ed allora sarà anche colpa nostra che non li abbiamo fermati prima.

E provatemi a dire che l'ho buttata di fuori.

martedì 27 luglio 2010

IMPARIAMO LA COSTITUZIONE - Articolo 9 – La ricerca scientifica

Risulta evidente che i costituenti ritenevano fondante l’investimento pubblico nello sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica. Questo articolo, inclusivo della cultura che della scienza e della tecnica, non lascia adito a dubbi interpretativi: notevole che sia stata inserita anche la tutela del paesaggio e del patrimonio storico artistico, concepiti come essenziali all’identità e alle prospettive di crescita del paese.

Lo Stato deve quindi investire nello sviluppo della cultura e della ricerca, ma i governi hanno sempre mantenuto quest’obbligo? Qual’ è la misura per valutare l’adeguatezza dell’investimento?

Nei primi decenni della Repubblica lo sviluppo della ricerca è stato impetuoso: la creazione di enti di ricerca pubblici e nazionali, il CNR, l’INFN, l’ENEA e il sistema dell’università pubblica, che hanno contribuito a trasformare l’Italia da paese sostanzialmente agricolo e arretrato in uno dei paesi più industrializzati del mondo, è stata perseguita da tutte le forze politiche e dal sistema produttivo soprattutto pubblico (ENI, ENEL, Ferrovie dello Stato..).

Oggi invece? Stiamo assistendo ad un declino che sembra inarrestabile, gli enti di ricerca sono tagliati, accorpati, privi di missione e privi di risorse, il sistema universitario pubblico sta attraversando la crisi più grave della sua storia. Qualunque tentativo di riforma si scontra con un’inerzia e una reazione conservatrice che reagisce al cambiamento.

A partire dal dettato dell’articolo 9 abbiamo la responsabilità di arrestare questo declino, e le soluzioni per farlo sono legate alla capacità di rifondare il sistema degli enti di ricerca, di ricostruire un sistema di università che coniughi ricerca e formazione. Questo si può fare a partire dalla riforma del dottorato di ricerca e dalla differenziazione del sistema universitario dove università di ricerca perseguano progetti strategici di avanzamento scientifico e tecnico. Gli Enti di Ricerca devono ritornare alle origini, quando ad essi venivano affidati progetti multidisciplinari e liberi, di interesse nazionale, come per esempio lo studio del problema dell’approvvigionamento e del risparmio energetico, e la valutazione dell’impatto dei cambiamenti climatici.

Il reclutamento dei ricercatori deve avvenire in maniera trasparente e responsabile, e continua nel tempo per assicurare un ricambio generazionale adeguato.

Il problema non è solo di risorse ma anche di impostazione: troppo ideologici i criteri di approccio, mentre, come accade in altri paesi, la comunità scientifica dovrebbe essere coinvolta con una sua autonomia nella scelta degli indirizzi e delle compatibilità in diretto supporto del governo e del parlamento. L’articolo 9 nella sua essenzialità conteneva già tutto, la promozione della cultura in senso unitario, la ricerca pubblica e la sua valorizzazione per il progresso tecnologico del paese.

Cemento e non solo. Brancaleone, niente protezione sulle spiagge delle tartarughe

Lo scandalo calabrese è sempre lì: nessuna efficace misura di protezione sulle spiagge della zona di Brancaleone, in cui nidificano le tartarughe di mare.


Ci torno su perchè Legambiente ha appena assegnato la “bandiera nera” al Comune di Brancaleone per la cementificazione di un tratto del litorale prediletto dalle tartarughe. Peraltro nel 2007, quando la lottizzazione aveva appena ricevuto il vialibera, la stessa Legambiente aveva proclamato “Amico del mare” l’assessore comunale all’Ambiente di Brancaleone.

Ma secondo me il cemento è uno scandalo all’interno di uno scandalo ancor più grave e di cui si parla ancor merno: le tartarughe intenzionate a deporre le uova sulle spiagge di Brancaleone e dintorni devono pedalare decisamente in salita. Avveniva nel 2007 (io c’ero, ho visto con i miei occhi e ne ho scritto) ed avviene anche ora: ho appena telefonato.

La Costa dei Gelsomini attorno a Brancaleone (Reggio Calabria) è l’unico luogo dell’Italia continentale in cui le tartarughe di mare Caretta caretta si riproducono con regolarità. La specie è in pericolo; i luoghi di nidificazione nel Mediterraneo sono ormai molto ridotti a causa del disturbo rappresentato dal turismo.

Di cosa avrebbero bisogno le tartarughe per trovarsi bene? Poche attenzioni, oltretutto perfettamente compatibili con la presenza diurna di bagnanti ed ombrelloni. Sia la deposizione delle uova sia la schiusa infatti avvengono di notte.

Basterebbe vietare l’accesso in spiaggia a Suv e altri mezzi meccanici, che riducono le uova in frittata. Basterebbe schermare l’illuminazione notturna, che induce le tartarughine neonate a dirigersi verso l’entroterra anzichè verso il mare.

Invece a Brancaleone viene effettuata la cosiddetta pulizia meccanica della spiaggia. Nel senso che, a stagione di nidificazione iniziata, i bulldozer la spianano affinchè i bagnanti la trovino liscia e pulita.

Niente e nessuno impedisce ai Suv di accedere al litorale. L’illuminazione pubblica non è schermata.

Accadeva nel 2007, quando ne ho scritto per la prima volta, e accade tuttora. Ho appena telefonato a Salvatore Urso, un ricercatore dell’Università della Calabria che a Brancaleone si occupa del monitoraggio dei nidi. “Tutto è rimasto uguale, i problemi sono gli stessi“. Ha soltanto citato i quad oltre ai Suv.

E la pulizia meccanica della spiaggia? “La fanno sempre, anche se quest’anno, credo per motivi puramente economici, è stata meno impattante”.

Sia chiaro: Brancaleone merita appieno la bandiera nera che quest’anno Legambiente le ha assegnato per la colata di cemento sulla spiaggia della frazione Galati, luogo prediletto dalle tartarughe.

Sto solo dicendo che meritava la bandiera nera anche nel 2007 (l’anno in cui invece l’assessore “Amico del Mare” fu premiato), dato che la lottizzazione di Galati aveva ricevuto il semaforo verde appena prima.

Soprattutto, sto dicendo che per proteggere le tartarughe e i loro nidi sulla spiaggia di Brancaleone basterebbe davvero poco. Eppure, incredibilmente, nessuno lo vuol fare.

lunedì 26 luglio 2010

Nonostante il dietrofront, la battaglia contro la legge-bavaglio non è ancora vinta

Dopo la retro marcia sul ddl intercettazioni si respira aria di bocciatura, se non di caduta del governo, a Roma. Ma non è un’aria nuova. La protesta dei cittadini è stata troppo forte per non essere ascoltata nei palazzi romani, soprattutto con il No Bavaglio Day organizzato nelle principali città d’Italia lo scorso primo luglio. E lo sciopero dei giornalisti, indetto il 9 luglio scorso dalla Fnsi, ha prodotto un silenzio molto “rumoroso”.

Per Ferruccio Sansa del Fatto Quotidiano, intervenuto ai microfoni di RMC101 “questo silenzio è stato molto importante per far capire agli italiani cosa sarebbe la loro vita senza l’informazione. Senza sapere cosa succede nel mondo ci sentiamo molto più soli”.

Una solitudine, però, che adesso può cadere addosso Berlusconi o almeno alla sua area all’interno del Pdl, anche se molto più cospicua dei finiani che hanno esultato, con pugno chiuso sotto il tavolo, alla notizia del dietrofront.

Un altro giornalista di punta della stampa nazionale, Gian Antonio Stella del Corriere della Sera, ricorda ai nostri microfoni come Berlusconi ha sempre trovato il modo per mettersi in difficoltà: “gli è capitato nel ’94 con la cosiddetta legge salva-ladri”. “Forse la legge sulle intercettazioni potrebbe essere la buccia di banana per la legislatura, – ipotizza Stella - non credo che alla gente piaccia questi tipi di interventi perché sa che gli intercettati non sono 15 milioni di persone. Le intercettazioni legali fatte dai magistrati sono strettamente necessarie”.

Per Stella la gente sa, dunque, che il ddl sulle intercettazioni è un po’ forzato anche se non si è dimostrata particolarmente “arrabbiata” come ai tempi di Mani pulite. Ma secondo il giornalista autore de “La Casta” la battaglia contro la legge bavaglio non è ancora vinta: “sebbene gli italiani siano più attenti di quanto il premier pensi, Berlusconi è capace di forzare l’iter, ad esempio mettendo la fiducia, perché molti parlamentari non sono sicuri di tornare in Parlamento in una prossima legislatura e altri sono invece sicuri di non tornarci se il Presidente del Consiglio decide di non farli tornare.”

Altri ancora invece la voteranno perché, colpiti dalle inchieste giudiziarie, sarebbero ben lieti vedere il cane da guardia del potere (la stampa) con la museruola, come lascia intendere Francesco La Licata de La Stampa: “è chiaro che al potere dà fastidio che i giornali facciano il loro compito”. E il potere non è solo Berlusconi: “la stampa dà sì fastidio all’attuale premier che ha propagandato questa legge ma non è solo un suo problema. Anche il centro-sinistra ha dimostrato di essere permaloso di quello che viene scritto sui giornali”. Ai nostri microfoni La Licata, autore con Massimo Ciancimino di “Don Vito”, dopo aver giudicato il ddl sulle intercettazioni “una legge che vuole uccidere il diritto ad essere informati da parte dei cittadini e il dovere dei giornalisti di informare e di mettere in guardia i cittadini”, tratta l’argomento della privacy che secondo i fautori della legge verrebbe minata senza l’approvazione del ddl: “noi dobbiamo dare ai cittadini la possibilità di capire, al di là delle esternazioni pubbliche, quello che i potenti realmente fanno. Un politico che in pubblico fa la campagna antidroga e in privato si fa di cocaina fa un po’ ribrezzo”.

Ma non ci sono solo gli affari dei politici a rischiare di essere celati, anzi, secondo La Licata, con la legge bavaglio, ad esempio, il carteggio tra Matteo Messina Denaro e Vaccarino non sarebbe mai stato pubblicato. Così come non sarebbero stati presi, nei giorni scorsi, i fiancheggiatori del latitante De Vita.

Fiat, “Non può finire così”

La vicenda Fiat “non può finire così” e “non deve finire così”. Lo dice il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, in un’intervista a Repubblica, ricordando che “quasi tutte” le imprese globali hanno un rapporto col territorio, in riferimento alla scelta di andare a produrre auto in Serbia a discapito degli stabilimenti torinesi di Mirafiori, annunciata in settimana dall’amministratore delegato Sergio Marchionne.

Dietro la rottura con “l’identità territoriale” della Fiat per Epifani c’è “un’idea finanziaria più che industriale”. E l’incontro tra le parti programmato dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, per il leader della Cgil potrà costituire una possibilità di disgelo solo a due condizioni: “Che possa portare a dare certezze sugli investimenti in Italia e la difesa dell’occupazione”. Secondo Epifani, poi, occorre trovare il modo per riaprire il confronto su tutti gli stabilimenti italiani, Pomigliano compreso. “Non mi convince il fatto che per non provare a riaprire il confronto con Fiom e Cgil si cerchino artifici formali per rendere esigibile l'accordo”, aggiunge, riferendosi all’eventualità che venga creata una new company che consenta di azzerare tutto. Fosse così, per Epifani, sarebbe “un atto grave e miope”.

“Non so cosa voglia davvero la Fiat, si chiede Epifani ricordando che soltanto “qualche settimana fa Marchionne aveva detto che si sarebbero prodotte 1,6 milioni di vetture in Italia”. Per il segretario della Cgil “non si può cambiare idea ogni tre mesi. Vorrei provare una volta tanto a discutere seriamente su 'Fabbrica Italia': è una formula suggestiva che per me vuol dire più investimenti, più qualità nei prodotti, più professionalità, difesa dei diritti e adesione esplicita ai doveri che ne conseguono. Per essere chiari anche sulla produttività e l'efficienza”. Ma se dietro la formula – prosegue Epifani - “si nasconde l'intenzione di toccare dei diritti fondamentali, come quello della responsabilità individuale nel caso di malattia o sciopero, si va oltre il contratto. Si fa una strappo alle leggi e alla Costituzione”.

Riguardo all’ipotesi di newco a Pomigliano è molto duro Giorgio Cremaschi della Fiom: “Se qualche sindacato confederale italiano dovesse accettare o solo non contrastare un’ipotesi di questo genere, dovrebbe essere immediatamente espulso dalla Confederazione sindacale europea come sindacato giallo. Con la democrazia non si può scherzare”, ha detto intervenendo a Parma ad una manifestazione della Cgil.

In merito all’incontro convocato a Torino, il ministro Sacconi ha dichiarato (a Messaggero e Repubblica): “Alla Fiat chiederemo, in un contesto di relazioni cooperative, di garantire la saturazione degli impianti produttivi nazionali, compreso Mirafiori. Quello che ci interessa è che la sua dimensione internazionale non penalizzi le fabbriche italiane”. Per Sacconi “l’adesione della Fiat al tavolo è di per sé incoraggiante” e “sarà un’occasione per la Cgil, se lo vorrà, di rientrare in gioco assumendo le necessarie responsabilità”.

Arriva in porto il Plastiki, l’imbarcazione costruita con 12.000 bottiglie di plastica

E’ atteso oggi nel porto di Sydney il Plastiki, l’imbarcazione costruita con 12.000 bottiglie di plastica.

In circa tre mesi e mezzo di navigazione (la partenza è avvenuta in marzo da San Francisco) il Plastiki ha attraversato l’oceano Pacifico per richiamare l’attenzione sull’enorme quantità di detriti di plastica presente nei mari, sulla pesca eccessiva e sulla necessità di riciclare i rifiuti.

Secondo me il problema dei rifiuti si risolve producendone di meno, prima ancora che riciclandoli. Detto questo, vi faccio fare un giretto a bordo attraverso un video girato dalla Cnn quando il Plastiki ha raggiunto le acque australiane.



Il viaggio del Plastiki è stato organizzato dal miliardario inglese David de Rothschild. Il nome dell’imbarcazione riecheggia quello del Kon-Tiki, la zattera di giunchi pilotata da Thor Heyerdahl che nel 1947 viaggiò dal Sudamerica alla Polinesia, dimostrando così la possibilità di contatti transoceanici anche in epoca precolombiana.

A bordo del Plastiki ci sono pannelli solari, turbine eoliche, generatori di energia elettrica a pedali, un sistema che recupera acqua dall’urina e coltivazioni idroponiche. L’imbarcazione è completamente riciclabile.

Il Plastiki ha attraversato il vortice dei rifiuti del Pacifico, l’area in cui si concentrano i rifiuti provenienti da tutto il mondo. Anzi, una delle aree in cui si concentrano i rifiuti: recentemente ne è stata scoperta una anche nell’Atlantico.

In queste zone il mare è ridotto ad una sorta di minestrone in cui nuotano frammenti di plastica: il resto dell’immondizia pian piano si degrada, la plastica no, e le correnti oceaniche hanno cominciato a radunarla ed accumularla dagli Anni 50 del secolo scorso.

domenica 25 luglio 2010

Una politica che ammazza le donne e i bambin

Se all’epoca di Mussolini (’22-’45) si parlò di clima propagandistico volto alla “fascistizzazione” dell’Italia, oggi a buon diritto possiamo parlare di berlusconizzazione del paese. Un’operazione durata 20 anni che ha portato -assegnando ai brutti ceffi che tutti sappiamo il monopolio dell’informazione - a diffondere una sottocultura di prevaricazione e di violenza a tutti i livelli. Cio’, unitamente all’emarginazione degli intellettuali liberi e alla “pubblicità” ha ridotto il nostro paese ad un livello di inciviltà che da lungo tempo non conoscevamo piu’.

Conseguente al “dominio berlusconico del pensiero” è la condizione femminile di oggi: nessuno piu’ osa parlare di “femministe” , quasi fosse sinonimo di “terroriste”. Lo stile di vita, i diritti (in famiglia e sul lavoro) delle donne sono calpestati quotidianamente da iniziative che premono affinchè le donne, nel nostro paese, si adeguino sempre piu’ ad un ruolo passivo di osservanza all’autorità (maschile) e ad uno standard di rapporti familiari innocui all’equilibrio di questo sistema socio-politico. Chi se ne sottrae è considerata “diversa” e viene perseguitata sul lavoro, dalle istituzioni o privatamente, da mariti (o ex) assillanti, misogini o addirittura violenti.

Questo sito è dedicato alle violenze maschili sulle donne, che sono quotidiane e prescindono dall’età, dalla classe sociale, dai rapporti di parentela o dalla localizzazione geografica (anche se la formigoniana Lombardia è al primo posto in Italia). Gli abusi sessuali si estendono a danno delle bambine di 4 anni come dlle donne di 80.
Spaventoso è il numero di minori sottratti alle madri, con questa nuova vessazione ideologica inventata per perseguitare le donne: la sindrome di inadeguatezza parentale (PAS), un disturbo inesistente e infondato con cui avvocati senza scrupoli motivano il risentimento di padri degeneri, provocando molto piu’ spesso di quanto si crede, l’allontanamento dei bambini dalla loro mamma affidataria a favore del ricovero coatto in case-famiglia, spesso gestite da preti e sovvenzionate dai contribuenti, in odore di speculazione a vantaggio di privati coinvolti nelle istituzioni e nelle decisioni che vengono prese dai tribunali dei minori (ma non dovevano giustamente abolirli?) in spregio dell’equilibrio mentale ed esistenziale della gente, in particolar modo dei minori, che talvolta passano decenni lontani dalle loro sanissime e affettuosissime famiglie d’origine.

La realtà è che la compagine della vita (o della sopravvivenza) delle donne oggi in Italia è segnata dalla violenza. La stessa violenza che nel quadro internazionale porta l’Italia a partecipare e a sovvenzionare missioni militari di “lotta al terrorismo” e di “esportazione della democrazia” e i cui esiti sono sempre eventi di cui il genere umano ha da vergognarsi: cose come i campi di concentramento nazi o il genocidio degli indiani americani.

Oggi il dominio berlusconico, il suo autoritarismo che ha abolito ogni possibilità di dialogo (questo regime ha la caratteristica di non ascoltare MAI istanze diverse dal diktat centrale) e che esalta un malinterpretato “valore” del “fare”, ha condizionato gli italiani (da sempre molto “televisivi”) nel senso di una prassi che va avanti contro la moltitudine, contro anche la democrazia che a parole tutti dicono di difendere. Una prassi che schiaccia per giungere all’autoaffermazione e ribadirla, che vessa e minaccia chi ha visioni dissenzienti, che ammazza, ma in sotterranea, senza clamore, in silenzio. Magari nei CIE, o in carcere, o in famiglia.

Il risvolto “folkloristico” di questa sottocultura violenta è il “machismo” berlusconico, che si puo’ spiegare con “l’uomo ha l’uccello ed è cacciatore. La donna deve solo farsi vedere, finchè puo’ farlo, partorire e curare la casa, senza esigere piu’ di quello che “tradizionalmente” un maschio le puo’ offrire, allo stesso modo che la società italica si accontenta di cio’ che il premier puo’ e vuole “dargli”. Mettendo in ultimo piano quello che, in cambio, sottrae.

Non è un caso che i maschilisti abbiano rialzato la testa: in questo periodo di rinuncia del pensiero, il loro “non pensiero” puo’ trovare (anzi ha trovato) accoglienza. In un periodo storico in cui la dialettica s’è fatta “tifo” (calcistico, politico, geografico, di branco) il risentimento fattosi ideologia che concentra in se tutte le frustrazioni di maschi che hanno perso l’identità (e non certo per colpa delle donne) si rimanifesta, condito dai luoghi comuni sul “noi” e sul “loro-troie”, pronto per confezionare violenze psicologiche e pratiche, assecondato dallo schermo televisivo che presenta le ragazze come sempre dovrebbero stare secondo loro: mezze nude, sorridenti, servili, passive, oggettuali.

Tutto, tutto questo, unitamente ad una chiesa indegna che sta in piedi solo per l’atavica angoscia dell’imminenza della morte, contribuisce a creare un clima dove, privatamente, molti uomini credono che ammazzare una donna, applicare il detto “io t’ho fatto, io ti disfo” nei confronti dei bambini, sia lecito moralmente. Questa sottocultura di competizione e di schiacciamento dell’altro, di indifferenza e di sordità nei confronti di chi è diverso (anche solo nel genere) è la filigrana del femminicidio. Che in molti negano, che viene liquidato anche dai media come “insieme di casi sporadici” negandone il contesto sociale, economico e culturale che lo produce.

Una politica di destra che per principio dona le risorse del pianeta solo a chi è in grado di difenderle con la forza, per forza di cose non può che prendersela con chi è piu’ facile che subisca senza reagire: i poveri, le donne, i minori. Questi ultimi spesso segnati precocemente da esperienze devastanti di abbandono forzato, ad opera di tribunali scriteriati e di assistenti sociali ottuse e corrotte.

Il risultato è che (da Jadis Bianchi):

1. Belluno L’emittente TV2000 riferisce del caso di una madre a cui il Tribunale dei minori di Venezia ha tolto il figlio di dodici anni a causa della accertata esistenza di una Sindrome da Alienazione Genitoriale indotta dalla madre contro il padre.
Servizio RAI Festa Italiana

2. Roma Il Corriere della Sera riferisce di una sentenza della Corte di Appello di Roma. Il padre davanti alla Corte ha lamentato la mancanza di un rapporto con i figli e allora è stata disposta una consulenza psicologica che si è conclusa con la richiesta di affidare i bambini a una casa famiglia. La Corte ha deciso di sottrarre la patria potestà ai genitori e di attribuirla ai servizi sociali, lasciando la domiciliazione presso la madre. I due genitori sono invitati a proseguire il percorso psicologico per recuperare la capacità genitoriale e i servizi sociali sono chiamati a “monitorare” la situazione nel tempo.
Corriere della Sera Roma 16-11-2009

3. New York/Roma Un bambino è stato portato dalla madre italiana da New York a Roma.
Will Liam come home soon? Examiner 22-2-2010 Liam incontrerà la madre in tribunale il 12 febbraio Corriere della Sera 3-2-2010 Arrestata Manuela Antonelli Repubblica 28-1-2010 Roma, bambino scomparso da casa famiglia: Aiutateci a trovarlo Blitz quotidiano 2-1-2010 Otto anni, rapito dalla madre In fuga dalla casa famiglia Repubblica Roma 19-12-2009 Aiutateci a ritrovare il piccolo Liam Corriere della sera Edizione di Roma 18-12-2009 Servizio di “Chi l’ha visto” RAI3 12-12-2009 TG Italia 1 Gruppo Facebook

4. Treviso A Treviso una bimba è stata tolta alla madre. Il PM ha ritenuto che lei avesse usato la falsa denuncia per abusi per allontanare il marito dalla figlia.
Pagina Facebook della madre TG di Italia 1, 29 ottobre 2009 Petizione della madre

5. Modena Un servizio del TG di Italia 1 del 27 marzo 2009 riferisce che una bambina di 5 anni allontanata dalla madre a Modena.
Servizio TG Italia 1

6. Thiene Un servizio di SAT 2000 parla del caso di allontanamento avvenuto a Thiene, provincia di Vicenza.
SAT 2000

7. Sicilia Un servizio di RAI “Chi l’ha visto” riferisce di una nonna siciliana fugge con i nipotini per evitare l’allontanamento dalla madre.
RAI Chi l’ha visto

8. Ivrea Nell’ottobre 2008, il giudice ha deciso di procedere con l’allontanamento della bambina dalla madre (dopo una perizia che stabiliva che la bambina era stata manipolata dalla madre) e l’affido temporaneo ai servizi sociali e a una comunità, prima di passare al padre e alla sua nuova famiglia.
Scomparsa - La Sentinella 19-3-2009 «Facci sapere che state bene» - La Sentinella 19-3-2009 La Sentinella 2-3-2009 La Sentinella 19-2-2009 Mamma alienante’, bambina in comunità - La Sentinella 19-2-2009

9. Potenza Bambina allontanata dalla madre a Potenza nel gennaio 2009.
Servizio del TG di Italia 1

10. Roma Una figlia di 13 anni è stata affidata a un istituto religioso nell’aprile del 2008 perchè sarebbe stata ‘messa contro suo padre’;. Dopo avere deciso l’allontanamento della madre, il tribunale dei minorenni ha mandato gli atti alla procura ordinaria ipotizzando che la madre abbia inflitto sofferenze psichiche alla figlia.
Rai Uno 19/11/2009 - parte 1 Rai Uno 19/11/2009 - parte 2

11. Castelfranco Modena La stampa locale riferisce che nel novembre 2008 i servizi sociali hanno collocato una bambina presso una casa famiglia perchè la madre avrebbe ostacolato il rapporto padre-figlia.
Servizio RAI “I fatti vostri” Articolo stampa locale L’Informazione 11-4-2009 Gazzetta di Modena 11-4-2009

12. Veneto Un servizio di Panorama e un servizio di un TG sullo stesso caso riferiscono del caso di Davide che sarebbe stato allontanato dalla madre e collocato in istituto in seguito al tentativo di manipolazione del figlio da parte della madre per metterlo contro il padre.
I nostri figli portati via da un giudice - Panorama 10-11-2009 Servizio TG

13. Trieste La stampa locale riferisce di un provvedimento di allontanamento dalla madre di un figlio conteso dai genitori. La madre si è sottratta a lungo al provvedimento secondo quanto riferisce il giornale “Il Piccolo”.
Trieste, blitz per il bimbo conteso il Piccolo 18 maggio 2003 Blitz nella notte per recuperare il bimbo conteso il Piccolo 18 maggio 2003 Bimbo conteso strappato alla madre in fuga il Piccolo — 19 giugno 2003

14. Santa Maria al Bagno (Lecce) La stampa locale riferisce il caso di due bambini allontanati dalla madre perchè “contesi” con il padre nel corso di una separazione difficile. Il problema è sorto quando tra la madre e il padre dei ragazzini sono sorti contrasti per quanto riguarda l’orario e la modalità delle visite da parte di uno dei due genitori. La madre avrebbe reso difficoltosi gli incontri dei piccoli con il padre. Da ciò il Tribunale dei minori avrebbe disposto che i bimbi «contesi» sarebbero dovuti essere sottratti alla potestà della madre.
Due bimbi tolti alla madre - Santa Maria al Bagno insorge Gazzetta del Mezzogiorno 16-1-2010

15. Latina Il giornale Latina Oggi riferisce di un tentativo di allontanamento di un minore dalla madre su decreto del Tribunale dei minori di Roma, che sarebbe dovuto all’impossibilità per il padre di frequentare il figlio. La madre si difende dicendo che è il figlio di sette anni che ha deciso di non vedere il padre.
Bambino trattato come un boss Quattordici agenti per prenderlo” Bimbo conteso introvabile Latina Oggi 19/4/2010

16. Belgio/San Benedetto del Tronto Una madre di due bambine di 4 e 8 anni, ha denunciato per abusi sessuali il marito e il suocero portandole in Italia dal Belgio. Dopo aver archiviato il caso la magistratura belga ha dato le bambine in affido esclusivo al padre e le autorità italiane hanno proceduto al rimpatrio. Numerose le prese di posizione a favore della madre.
Bimbe
contese, in Italia continua il processo S. Benedetto Oggi 19-12-2008 Maria Pia Maoloni: “Sono vittima di un ricatto tvp 23-12-2007 Servizio tvp tvp 8-9-2007 Bimbe contese, Taormina denuncerà il Tribunale di Ancona 31-7-2007 Le bimbe di San Benedetto sono già; in Belgio con il padre Il Resto del Carlino 22-5-2007 Bambine contese, 11.000 firme per una firma Il Quotidiano 13-4-2007 Minori Fiona e Milla, Meter scrive al Procuratore Pastore Il Quotidiano 29-11-2006

17. Trento Il quotidiano locale “Trentino” riferisce di un caso drammatico di allontanamento.
Lo soffoca con il suo troppo amore Trentino 22-4-2010 Mamma iper protettiva Il tribunale le toglie il figlio Repubblica 23-4-2010 Quel bambino strappato alla mamma che lo ama troppo Il Giornale 23-4-2010

18. Padova Un gruppo Facebook riferisce di un caso di allontanamento di bambino per PAS disposto dal Tribunale di Padova.
Gruppo Facebook “Aiutateci a salvare Marco”

19. Como Il tribunale di Como ha deciso di affidare i figli di una giornalista della Voce di Romagna al padre. La madre è stata intervistata dalla trasmissione Terra di Canale 5 e tiene aggiornato un blog su Internet sulla vicenda.
Intervista a “Terra” di Canale 5 Servizio Tg3 Regionale Blog

20. Canton Ticino Il figlio di una italiana residente in Svizzera è al centro di una contesa che ha visto contrapposta la giustizia del Canton Ticino e il Tribunale di Bologna.
Google News

Questi fatti, unitamente alle violenze quotidiane sulle donne , fanno brillare di civiltà michelangiolesca il nostro paese (da femminismoasud):

Un uomo picchia e violenta la convivente. Non erano soli. C’era anche un neonato ad assistere alla scena. Dite che questo bambino si ricorderà di quanto è stato gentile il suo papà con la sua mamma? O il padre imbizzarrito proverà a mettere in scena alcuni effetti speciali per farglielo dimenticare?

Un uomo, già denunciato per stalking, decide di sequestrare la sua ex e si lancia in una corsa, inseguito dalla polizia, perchè proprio non vuole saperne di accettare la fine della storia.

Un altro uomo ha picchiato proprio tanto la sua ex. Poi l’ha presa a bastonate e dunque l’ha mandata all’ospedale. Anche lui deve essere una personcina tanto gentile, ne siamo certe.

Poi c’è quel tale che entra in una casa per fare una rapina. Non trova nulla da rapinare e allora pensa bene di prendersi l’unica cosa che ritiene disponibile. Stupra una signora di 79 anni.

Un altro uomo è stato accusato di aver molestato sessualmente la figlioletta di quattro anni e mezzo.

Un altro uomo pare abbia preso a sprangate la moglie e abbia lanciato contro il divano il bambino di appena un mese. Anche in questo caso vediamo un grande amore paterno.

Concludendo: non so se notate come le notizie da me riportate mostrino come l’esterofilìa degli italiani si produca anche verso popoli sui quali per molte altre cose sono razzisti. Come in un’antica usanza indiana (purtroppo non ancora debellata) l’ex brucia una donna (una madre di due figli di 8 e 13 anni), dopo averla cosparsa con l’alcool.

Non a Bombay, a Cave (Rm).

Tanto è l’attaccamento maschilista alle tradizioni (proprie o altrui) da far sì che addirittura molti sinceri sostenitori della guerra come “scontro di civiltà” ammirino alcuni stati islamici per la lapidazione e la flagellazione che quegli ordinamenti riservano alle donne per comportamenti che, sotto l’aspetto maschile, sono considearati immorali o riprovevoli. Disprezzandoli li invidiano e invidiandoli cercano inconsciamente di riprodurre anche da noi quelli che per loro sono “gli aspetti migliori di una cultura barbarica”.

Regioni: “Manovra, niente fondi per sociale e non autosufficienza”

ROMA – Un colpo al cerchio e una alla botte. Se da un lato il ministro Sacconi si è detto “disponibile al dialogo, perché intende avviare un rapporto di collaborazione con le regioni sulle prospettive dello Stato sociale già a partire dalla settimana prossima, dall’altro ha confermato che in sostanza nella manovra anti-crisi non sono previste risorse aggiuntive per il welfare. Né per il finanziamento del Fondo sociale nazionale 2011, le cui cifre verranno quantificate nella finanziaria di ottobre, né per le politiche per la non autosufficienza, che a parere del ministro dovranno trovare risposta nella filiera dei servizi sociali e socio-sanitari integrati in capo alla sanità anche per quanto riguarda il Fondo per la non autosufficienza”. A rivelare i contenuti dell’incontro che si è avuto il 20 luglio a Roma tra il ministro del Welfare Maurizio Sacconi e la commissione Politiche sociali della Conferenza delle regioni è Lorena Rambaudi, assessore regionale alle Politiche sociali, terzo settore, politiche giovanili e pari opportunità della Liguria e nuova coordinatrice nazionale degli assessori al Welfare.

“Il ministro Sacconi si è reso disponibile a valutare i contributi che la Conferenza delle regioni vorrà presentargli (un primo documento verrà discusso durante la riunione della commissione Politiche sociali che si terrà a Roma mercoledì 28 luglio), ma ritiene sempre complicato il tema dei livelli essenziali delle prestazioni sociali per la difficoltà di garantire diritti soggettivi ai cittadini in una fase di scarsità di risorse”, dice l’assessore Rambaudi. “Quest’anno il Fondo sociale nazionale e le quote destinate alle regioni e alle province autonome sono al minimo storico: quasi un miliardo e 175 milioni di euro il primo e 380 milioni di euro le seconde, circa 137 milioni di euro in meno rispetto al 2009 per entrambi. E se per il 2011 non c’è garanzia neanche per queste cifre, e con le politiche per la non autosufficienza che dovranno passare in capo alle Asl, il rischio che corrono i comuni è che non riescano a garantire i servizi sociali di base. Ma i piani pluriennali di zona gli enti locali li devono pur fare”, commenta la coordinatrice nazionale degli assessori al Welfare. “E’ per queste due ragioni che siamo preoccupati: per la tenuta dei servizi sociali e per la programmazione prevista dalla legge quadro 328/2000, quella per la realizzazione del sistema integrato degli interventi”.

Anche perché, continua Lorena Rambaudi, “le risorse spettanti alle regioni e alle province autonome sono state più che dimezzate rispetto al 2004, quando hanno toccato quota un miliardo di euro. E pure se si aggiungono, dal 2007 al 2010, gli stanziamenti del Fondo per le non autosufficienze – ammontanti complessivamente a 1 milione e 200 mila euro –, alcune centinaia di milioni di euro per i Fondi a favore di famiglia, asili nido e minori e le iniziative collaterali messe in atto per intervenire sulle povertà estreme (dalla social card ai bonus per la riduzione dei costi dei consumi familiari fino agli incrementi delle pensioni minime) ci troviamo di fronte a un minor impegno economico del livello nazionale per garantire i ‘bisogni primari’ delle persone che si trovano in situazione di disagio”.

Eugenio Bennato - Che il Mediterraneo sia

Eugenio Bennato - Che il Mediterraneo sia

sabato 24 luglio 2010

Stampa libera? In profumeria

Qualche giorno fa sono capitata in un negozio della catena Acqua & Sapone, sapete, dove si comprano gli shampoo e i bagnoschiuma. La cassiera mi ha infilato nella busta una copia del loro omonimo mensile gratuito. Tornata a casa, l'ho buttato su un ripiano e lasciato lì, convinta che si trattasse della solita pubblicazione pubblicitaria piena di attrici truccate così e cosà e divi della TV che svelano segreti di bellezza.

Mi sbagliavo di molto. L'ho cominciato a sfogliare distrattamente stamattina in attesa del caffé, e sono rimasta abbastanza sbalordita. Tra le pagine di pubblicità per rossetti e deodoranti, mi sono imbattuta in lunghi articoli su:

- Lo sfruttamento dei lavoratori nelle miniere sudafricane;

- Il problema della marea nera nel Golfo del Messico;

- L'imbroglio del vaccino H1N1;

- I depositi di scorie nucleari (titolo: "Nucleare sicuro? Controllava Scajola!");

- I danni delle merendine sui bambini;

- Un reportage dalle favelas brasiliane;

- La casta che vuole privatizzare l'acqua.

Sul loro sito si trova un sacco di roba dello stesso tenore. Veline? Zero. Grandifratelli? Zero. Ora io mi chiedo: questo è un giornale gratuito destinato alle massaie che fanno la spesa, distribuito solo in un supermercato di detersivi. E in un solo numero trovo toccati i più sostanziali argomenti del momento storico che viviamo, raccontati con dovizia di particolari e soprattutto senza peli sulla lingua. Non solo: a differenza dei giornali più blasonati, Acqua & Sapone fa una specie di 2.0 e pubblica anche articoli dei lettori.

Queste persone, che non so chi siano, stanno rendendo un servizio. Stanno compiendo il loro dovere di giornalisti raccontando fatti alla gente. Conosco più di un giornalista con la puzza sotto il naso che ne riderebbe, di colleghi che lavorano per un free press da profumeria: eppure gli stessi probabilmente non scriverebbero mai di merendine, per tema di perdere pubblicità, e non si sognerebbero neanche di dedicarsi alle scorie nucleari o all'acqua privatizzata, per non pestare i piedi ai potenti.

La dignità dei giornalisti, la libertà di stampa, la schiena dritta, la capacità e la voglia di raccontare in questo disgraziato Paese sono molto difficili da reperire. Qualche volta, però, li trovate nascosti in uno scaffale della profumeria... e non so se è una buona notizia.

Sei una Persona, non un target di clientela, di audience o di elettorato. Perciò meriti un'informazione sana, rispettosa delle persone e della verità. Anche quella che non trovi nei TG. Senza gossip, reality, vip, scandalismo e sfruttamento del dolore.

Golfo di Napoli e il problema balneabilità non ancora risolto..

I giudizi di balneabilità del mare tra Sorrento, Massa Lubrense, Vico Equense, Punta Campanella, Capri, Ischia e Castellammare di Stabia pronunciati nel 2009 dagli esperti dell’Arpac sarebbero fondati su analisi di laboratorio fasulle. Perché gli orari dei verbali di campionamento delle acque marine sarebbero assolutamente incompatibili con gli orari di entrata e di uscita registrati sulle schede dei battelli impiegati nei prelievi. Incongruenti anche i tempi di navigazione necessari per raggiungere i punti indicati sui rapporti.

Traduzione: c’è il sospetto che le analisi non siano state compiute davvero, oppure siano state eseguite su campioni di mare non corrispondenti a quelli per i quali veniva concessa (o negata) la balneazione. Con ovvi rischi per la salute degli ignari bagnanti di alcune tra le più rinomate località turistiche della provincia di Napoli. Sono queste le clamorose ipotesi della Procura di Torre Annunziata che ha formulato gli avvisi di conclusa indagine per 14 tecnici del dipartimento provinciale dell’Arpac di Napoli, tra i quali il responsabile dell’unità epidemiologica e il dirigente biologo. Sono accusati di reati che vanno dal concorso in falso ideologico all’omissione d’atti d’ufficio.

Ben 161 i prelievi d’acqua ritenuti ‘taroccati’ e finiti nel mirino degli inquirenti. Sono stati realizzati tra la primavera e l’estate del 2009. I più numerosi riguardano i tratti di mare della costiera sorrentina. Ma i dubbi in qualche caso riguardano anche le risultanze delle trasferte dei battelli verso Capri e Ischia. Due capi di imputazione riguardano i ritardi dell’Arpac nell’eseguire le analisi suppletive nei tratti di mare dove il primo campionamento aveva dato esito negativo e bollino nero. Andrebbero fatte il più presto possibile e, in caso di ulteriore riscontro di inquinamento, bisognerebbe dichiarare la temporanea non balneabilità della zona. Invece le analisi-bis venivano compiute solo dopo diversi giorni.

Secondo il pm Mariangela Magariello, che ha ereditato un’inchiesta condotta dalla collega Marta Correggio, “tale ritardo non consentiva un adeguato monitoraggio sulla balneabilità delle acque”. Inoltre, avrebbe esposto i bagnanti al pericolo di continuare a immergersi in zone inquinate. L’ ‘errore’ si sarebbe ripetuto nove volte. E sempre in zone molto frequentate: la spiaggia libera di Piano di Sorrento, alcuni stabilimenti di Castellammare di Stabia, la costa tra Sant’Agnello e Punta Sant’Elia, diversi punti di Sorrento. Per tutti questi tratti di costa, trascorsi diversi giorni, le nuove analisi hanno dato esito favorevole. Ma chi ci dice che in quell’intervallo di tempo le acque non fossero ancora non ‘balneabili’?

L’indagine è stata avviata nel luglio del 2009 con lo scopo di scoprire le cause dell’inquinamento marino in provincia di Napoli e individuare i responsabili degli scarichi abusivi e del cattivo trattamento delle acque reflue. Lo spunto dell’apertura del fascicolo nacque da un’intervista dell’oceanografo Giancarlo Spezie, che dalle colonne del Corriere del Mezzogiorno consigliava “di evitare di farsi il bagno nel Golfo di Napoli”, definendo inadeguato il sistema dei controlli. Fu un’estate terribile, trascorsa tra depuratori ‘esplosi’ e liquami che finivano direttamente in mare, coi turisti in fuga dalle spiagge. Il procuratore capo Diego Marmo acquisì agli atti l’articolo e convocò il professore Spezie per mettere a verbale le sue osservazioni.

In seguito la Procura ha affidato allo stesso Spezie e all’ecologo marino Vincenzo Saggiomo l’incarico di supervisionare i prelievi, in collaborazione con il dipartimento di Scienze Ambientali dell’Università di Napoli e l’area monitoraggio della stazione zoologica Dohrn. E’ emersa così la vicenda di analisi ritenute inattendibili e forse truccate. Come nel caso delle schede tecniche dei campionamenti Arpac del 17 luglio 2009. In questa data sarebbero state eseguite le analisi in due punti del mare di Castellammare di Stabia e in dieci punti tra Sorrento e Massa Lubrense. Peccato che l’unico battello operante quel giorno si trovasse da tutt’altra parte, impiegato – scrive il pm – “nello svolgimento della missione Capri”.

Fiat, lettera di un operaio: «Caro Sergio, saremo noi a perdere tutto»

Caro Sergio, Non posso nascondere l’emozione provata quando ho trovato la sua missiva, ho pensato fosse la comunicazione di un nuovo periodo di cassa integrazione e invece era la lettera del «padrone», anzi, chiedo scusa: la lettera di un collega. Ho scoperto che abbiamo anche una cosa in comune, siamo nati entrambi in Italia. Mi trova d’accordo quando dice che ci troviamo in una situazione molto delicata e che molte famiglie sentono di più il peso della crisi. Aggiungerei però che sono le famiglie degli operai, magari quelle monoreddito, a pagare lo scotto maggiore, non la sua famiglia. Io conosco la situazione più da vicino e, a differenza sua, ho molti amici che a causa dei licenziamenti, dei mancati rinnovi contrattuali o della cassa integrazione faticano ad arrivare a fine mese. Ma non sono certo che lei afferri realmente cosa voglia dire.

Quel che è certo è che lei ha centrato il nocciolo della questione: il momento è delicato. Quindi, che si fa? La sua risposta, mi spiace dirlo, non è quella che speravo. Lei sostiene che sia il caso di accettare «le regole del gioco» perché «non l’abbiamo scelte noi». Chissà come sarebbe il nostro mondo se anche Rosa Lee Parks, Martin Luther King, Dante Di Nanni, Nelson Mandela, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Emergency, Medici senza Frontiere e tutti i guerrieri del nonostante che tutti i giorni combattono regole ingiuste e discriminanti, avessero semplicemente chinato la testa, teorizzando che il razzismo, le dittature, la mafia o le guerre fossero semplicemente inevitabili, e che anziché combatterle sarebbe stato meglio assecondarle, adattarsi. La regola che porta al profitto diminuendo i diritti dei lavoratori è una regola ingiusta e nel mio piccolo, io continuerò a crederlo e a oppormi.

Per quel che riguarda Pomigliano, le soluzioni che propone non mi convincono. Aumentare la competitività riducendo il benessere dei lavoratori è una soluzione in cui gli sforzi ricadono sugli operai. Lei saprà meglio di me come gestire un’azienda, però quando parla di «anomalie» a Pomigliano, non posso non pensare che io non conoscerò l'alta finanza, ma probabilmente lei non ha la minima idea di cosa sia realmente, mi passi l’espressione, «faticare».

Non so se lei ha mai avuto la fortuna di entrare in una fonderia. Beh, io ci lavoro da 13 anni e mentre il telegiornale ci raccomanda di non uscire nelle ore più calde, io sono a diretto contatto con l’alluminio fuso e sudo da stare male. Le posso garantire che è già tutto sufficientemente inumano. Costringere dei padri di famiglia ad accettare condizioni di lavoro ulteriormente degradanti, e quel che peggio svilenti della loro dignità di lavoratori, non è una strategia aziendale: è una scappatoia. Ma parliamo ora di cose belle. Mi sono nuovamente emozionato quando nella lettera ci ringrazia per quello che abbiamo fatto dal 2004 ad oggi, d’altronde come lei stesso dice «la forza di un’ organizzazione non arriva da nessuna altra parte se non dalle persone che ci lavorano». Spero di non sembrarle venale se le dico che a una virile stretta di mano avrei preferito il Premio di risultato in busta paga oppure migliori condizioni di lavoro. Oppure poteva concedere il rinnovo del contratto a tutti i ragazzi assunti per due giorni oppure una settimana solo per far fronte ai picchi di produzione, sfruttati con l’illusione di un rinnovo e poi rispediti a casa. Lei dice che ci siete riconoscenti. Ci sono molti modi di dimostrare riconoscenza. Perché se, come pubblicano i giornali, la Fiat ha avuto un utile di 113 milioni di euro, ci viene negato il Premio di produzione? Ma immagino che non sia il momento di chiedere. D’altronde dopo tanti anni ho imparato: quando l’azienda va male non è il momento di chiedere perché i conti vanno male e quando l’azienda guadagna non è il momento di fermarsi a chiedere, è il momento di stringere i denti per continuare a far si che le cose vadano bene.

Lei vuole insegnarci che questa «è una sfida che si vince tutti insieme o tutti insieme si perde». Immagino che comprenda le mie difficoltà a credere che lei, io, i colleghi di Pomigliano e i milioni di operai che dipendono dalle sue decisioni, rischiamo alla pari. Se si perderà noi perderemo, lei invece prenderà il suo panfilo e insieme alla sua liquidazione a svariati zeri veleggerà verso nuovi lidi. Noi tremeremo di paura pensando ai mutui e ai libri dei ragazzi, e accetteremo lavori con trattamenti ancora più più svilenti, perché quello che lei finge di non sapere, caro Sergio, è che quello che impone la Fiat, in Italia, viene poi adottato e imposto da ogni altro grande settore dell’industria.

Spero che queste righe scritte con il cuore non siano il sigillo della mia lettera di licenziamento. Solo negli ultimi tempi ho visto licenziare cinque miei colleghi perché non condividevano l’idea «dell’entità astratta, azienda». Ora chiudo, anche se scriverle è stato bello. Spererei davvero che quando mi chiede se per i miei figli e i miei nipoti vorrei un futuro migliore di questo, guardassimo tutti e due verso lo stesso futuro. Temo invece che il futuro prospettato ai nostri figli sia un futuro fatto di iniquità, di ingiustizia e connotato da una profonda mancanza di umanità. (...) Un futuro in cui si devono accettare le regole, anche se ingiuste, perché non le abbiamo scelte noi. Sappia che non è così, lei può scegliere. Insieme, lei e noi possiamo cambiarle quelle regole, cambiarle davvero, anche se temo che non sia questo il suo obbiettivo (...). A lei le cose vanno già molto bene così. Sappia che non ha il mio appoggio e che continuerò ad impegnarmi perché un altro mondo sia possibile. Buon lavoro anche a lei.

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Bernardo Provenzano, arrestato l’11 aprile 2006 dalla polizia, poteva finire in manette due anni prima se un sottufficiale dei carabinieri, che era sulle sue tracce, non fosse stato trasferito. L’ha detto lo stesso maresciallo a Radio Uno, affermando di aver presentato sulla vicenda una formale denuncia alla procura.

Il maresciallo aveva avuto una soffiata da un confidente (nome in codice ”Ippo”), poi diventato collaboratore di giustizia, il quale nell’ottobre 2004 aveva disegnato gli assetti delle cosche, parlando del boss Gianni Nicchi, arrestato nel 2009 a Palermo.

”Il confidente – dice il sottufficiale – mi parlo’ di Nicchi come di un boss emergente in grado di avere contatti anche con Provenzano”. Il maresciallo informo’ attraverso una relazione i suoi superiori e ”dopo – dice ai microfoni della Rai – sono stato trasferito”

Appello dei blogger in difesa della Libertà d'informazione in Rete

Al Presidente della Camera, On. Gianfranco Fini
Al Presidente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, On. Giulia Bongiorno
Ai Capi-gruppo alla Camera dei Deputati
A tutti i Deputati

La decisione con la quale, lo scorso 21 luglio, il Presidente della Commissione Giustizia della Camera, On. Giulia Bongiorno, ha dichiarato inammissibili gli emendamenti presentati dall’On. Roberto Cassinelli (PDL) e dall’On. Roberto Zaccaria (PD) al comma 29 dell’art. 1 del c.d. ddl intercettazioni costituisce l’atto finale di uno dei più gravi – consapevole o inconsapevole che sia – attentati alla libertà di informazione in Rete sin qui consumati nel Palazzo.

La declaratoria di inammissibilità di tali emendamenti volti a circoscrivere l’indiscriminata, illogica e liberticida estensione ai gestori di tutti i siti informatici dell’applicabilità dell’obbligo di rettifica previsto dalla vecchia legge sulla stampa, infatti, minaccia di fare della libertà di informazione online la prima vittima eccellente del ddl intercettazioni, eliminando alla radice persino la possibilità che un aspetto tanto delicato e complesso per l’informazione del futuro venga discusso in Parlamento.

Tra i tanti primati negativi che l’Italia si avvia a conquistare, grazie al disegno di legge, sul versante della libertà di informazione, la scelta dell’On. Bongiorno rischia di aggiungerne uno ulteriore: stiamo per diventare il primo e l’unico Paese al mondo nel quale un blogger rischia più di un giornalista ma ha meno libertà.

Esigere che un blogger proceda alla rettifica entro 48 ore dalla richiesta – esattamente come se fosse un giornalista – sotto pena di una sanzione fino a 12.500 euro, infatti, significa dissuaderlo dall’occuparsi di temi suscettibili di urtare la sensibilità dei poteri economici e politici.

Si tratta di uno scenario anacronistico e scellerato perché l’informazione in Rete ha dimostrato, ovunque nel mondo, di costituire la migliore – se non l’unica – forma di attuazione di quell’antico ed immortale principio, sancito dall’art. 19 della dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo e del cittadino, secondo il quale “Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.”.

Occorre scongiurare il rischio che tale scenario si produca e, dunque, reintrodurre il dibattito sul comma 29 dell’art. 1 del ddl nel corso dell’esame in Assemblea, permettendo la discussione sugli emendamenti che verranno ripresentati. L’accesso alla Rete, in centinaia di Paesi al mondo, si avvia a divenire un diritto fondamentale dell’uomo, non possiamo lasciare che, proprio nel nostro Paese, i cittadini siano costretti a rinunciarvi.

venerdì 23 luglio 2010

Gelmini contro le proteste dei docenti "Indecoroso se danneggiano studenti"

l ministro della Pubblica istruzione attacca i professori: "Se si lamentano non è giusto che debbano pagare gli alunni impossibilitati a fare esami". E assicura: "Nessun taglio alle risorse ma una diversa distribuzione"

Gelmini contro le proteste dei docenti "Indecoroso se danneggiano studenti" Il ministro della Pubblica istruzione, Maria Stella Gelmini

VIAREGGIO (Lucca) - Le proteste dei professori diventano "atti indecorosi" quando a pagare sono gli studenti. Così il ministro dell'Università e della Pubblica istruzione, Maria Stella Gelmini, ha esordito intervenendo oggi a "Dedalo 2010", la manifestazione organizzata dagli studenti vicini al Pdl che non le hanno risparmiato striscioni e comitati di contestatori. "Fare riforme è difficile perché si va contro la resistenza di chi non vuol perdere privilegi acquisiti nel tempo, ma è indispensabile avere il coraggio del cambiamento" ha motivato il ministro.

"Mi riferisco al fatto - ha poi precisato il ministro - che ho il massimo rispetto per chi protesta, ma credo che le spese di una protesta contro il governo non le debba pagare il corpo studentesco, il quale spesso si trova impossibilitato a svolgere esami e ad avere appelli regolari perché gli insegnanti si lamentano del disegno di legge e si rifiutano di fare lezione, e addirittura di far sostenere gli esami". "Questo credo sia profondamente ingiusto - ha ribadito - noi stiamo cercando di lavorare per migliorare l'università. Si può essere legittimamente in dissenso ma non si devono danneggiare gli studenti".

Il ministro ha poi affrontato la dolente questione dei tagli, assicurando che "non ci sono stati e non ci saranno tagli alle risorse per la formazione ma una loro diversa distribuzione. Una politica seria di diritto allo studio - ha spiegato - che permetta a tutti gli studenti di qualunque ceto e provenienza di poter accedere all'università e portare avanti il proprio corso di studi". "Garantire il diritto allo studio - ha aggiunto - significa attivare borse di studio, fondi per i prestiti per merito, residenze universitarie. Vogliamo premiare i ragazzi migliori al di là delle risorse di partenza, aprire le porte al talento e al merito, collegando la formazione con il mercato del lavoro".

Dai tagli alle spese ai tagli generazionali. "Spazio ai giovani docenti, via i prof ultrasessantacinquenni: l'università deve servire ai giovani non ai baroni. Stop al radicato meccanismo della parentopoli e del nepotismo, sì alla meritocrazia" ha affermato il ministro riassumendo i punti cardine della riforma universitaria che è all'esame dell'aula del Senato. "Vogliamo programmare un'offerta formativa diversa che non punti sulla quantità, come si è fatto fino a oggi con il finanziamento a pioggia di corsi didattici inutili, ma sulla qualità. Vogliamo inserire il principio federalista anche nelle università responsabilizzando le Regioni, vogliamo attuare il ricambio generazionale dei professori abbassando l'età media di ricercatori, associati e ordinari istituendo un'abilitazione nazionale da conseguire attraverso concorsi trasparenti a cui tutti possono accedere con nomine sganciate dalla politica e un'agenzia esterna che valuterà il lavoro dei docenti, ore di lezione, ricevimenti e appelli d'esame rispettati".

Il ministro ha poi ricordato che le statistiche mostrano come in Italia la disoccupazione sia più bassa rispetto all'Europa "ma nel segmento giovanile emergono comunque delle difficoltà" e per Gelmini queste si devono anche "all'incapacità della scuola di uniformarsi al mercato del lavoro". "Uno dei compiti che il presidente Berlusconi mi ha affidato - ha sottolineato il ministro - è di favorire una sinergia tra sistema formazione e mondo lavoro. Se l'università continuasse a essere autoreferenziale, per i giovani trovare lavoro diventerebbe un'impresa quasi proibitiva".

"Oggi ci vuole il coraggio non di lamentarsi - ha poi proseguito - ma di dare soluzioni a problemi annosi che durano da troppo tempo". Secondo il ministro "se oggi c'è una situazione difficile è proprio quella dei giovani che faticano a trovare un lavoro anche perché la scuola e l'università - ha aggiunto - sono troppo distanti dal mondo del lavoro". Per questo Gelmini ha ricordato che, con i colleghi Giorgia Meloni e Maurizio Sacconi, sta lavorando "a un grande piano, 'Italia 2020', dove si incontrino questi due mondi e dove - ha concluso - una laurea non sia più un pezzo di carta da esibire ma valga davvero qualcosa".

giovedì 22 luglio 2010

Lodi, ruba un etto di prosciutto cotto e finisce in carcere per rapina impropria

I carabinieri hanno preso un rapinatore da Guinness dei primati: il bottino totalizzato con il suo colpo è di 1,09 euro, cioè il valore dei 50 grammi di prosciutto cotto che ha preso in un supermercato di Codogno (Lodi) senza pagare. L'uomo, pluripregiudicato, è stato fermato ma non ha riconsegnato la busta di salume e nemmeno ha cercato di pagarla. Invece ha spintonato e schiaffeggiato due addetti alla sicurezza prima di scappare.

I carabinieri lo hanno trovato in viale Manzoni, dove stava tranquillamente mangiando il prosciutto, e lo hanno arrestato con l'accusa di rapina impropria. Il ventinovenne ha trascorso la notte in camera di sicurezza, poi è stato rilasciato in attesa del processo dopo la convalida dell'arresto: ora rischia una pena da tre a dieci anni

Riforma Gelmini, con il nuovo anno molti istituti inizieranno la stagione senza presidi

Solo in Lombardia si calcola che saranno 250 i dirigenti scolastci a saltare. Un vero valzer di trafserimenti che porterà molte scuole ad avere nuovi presidi con gravi ricadute sul servizio scolastico

21 luglio 2010

Si prepara il nuovo anno scolastico. Sarà un anno nero. A tutti i livelli. A cominciare dai presidi. Per i quali è previsto un giro di valzer forsennato senza precedenti. Prendiamo come esempio la Lombardia: su 1300 uscenti, un migliaio da settembre non ci saranno più. Perché stanno andando in pensione, o perché hanno chiesto il trasferimento. Tra questi ultimi ci sono gran parte di quelli che lo scorso anno sono arrivati dal Sud. Se ne tornano a casa, nonostante che per contratto avrebbero dovuto restare, “Hanno avuto il nulla osta per il trasferimento – dicono alla direzione scolastica regionale – . Meglio così”.

Sta di fatto che a settembre in Lombardia si calcola che ci saranno 250 scuole senza preside. Si dà per scontato che il rimedio non saranno altri presidi provenienti dal Sud: nessuno ha più voglia di ripetere le vicissitudini vissute tra sacrifici inenarrabili e contestazioni registrate durante l’anno scolastico che sta andando in archivio. Non è un caso del resto che il direttore scolastico regionale Giuseppe Colosio abbia concesso il nulla osta per il trasferimento senza colpo ferire. Non ci sono informazioni ufficiali, ma è certo che più di una volta Colosio è stato costretto a intervenire per placare gli animi di molte comunità scolastiche esasperate per la presenza di presidi provenienti dal Sud. Perché troppo spesso assenti, perché troppo disorientati ed estranei alla dinamiche di funzionamento dell’attività didattica. Persone per lo più arrivate alla presidenza a fine carriera, per avere uno stipendio più sostanzioso da far valere al momento della imminente pensione. E comunque persone strappate dal loro contesto di vita e immersi in una realtà sconosciuta ad affrontare problemi più grandi di loro.

Non è un caso che lo scorso anno, anche con il consenso di forze politiche certo non leghiste siano state approvate mozioni in cui si chiedeva la nomina di presidi solo locali. Una posizione che fuori da ogni contesto ideologico aveva un suo fondamento. Sta di fatto che ora in Lombardia (e in genere nelle regioni del Nord, sia pur in misura diversa) le scuole restano senza preside, e al Sud si cercano sedi dove sistemare i trasferiti. In conclusione l’anno scolastico si aprirà con migliaia di scuole guidate da un nuovo preside. Che ricadute si avranno sul servizio scolastico? Che il personale, gli studenti e le loro famiglie dovranno fare i conti con un nuovo interlocutore. Qualcuno che non conosce la realtà in cui si inserisce, quindi non conosce i problemi da affrontare e da risolvere. Qualcuno che deve trovare la giusta sintonia con chi gestisce nelle classi l’attività didattica. Allora se si tratta di un preside cauto impiegherà del tempo prima di assumersi delle responsabilità. Se cauto non sarà, rischierà lo scontro, alimentando tensioni e incomprensioni che alla fine pagheranno gli stessi allievi. Tutto ciò nel momento in cui nelle scuole si dovrà gestire il disappunto e la confusione che porta con sé la cosiddetta riforma Gelmini-Tremonti: riduzione di orari alle superiori, domanda di tempo pieno respinta, personale sacrificato dalla manovra in atto. Peggio di così sarebbe difficile immaginarlo.

Acerra, canapa come fonte di energia

L’utilizzo delle biomasse a fini energetici
L’utilizzo delle biomasse a fini energetici rappresenta oggi una valida risposta alle pressanti questioni energetiche ed ambientali. La realizzazione di distretti bioenergetici, legati al concetto di filiera corta – cioè una filiera in cui produzione ed approvvigionamento di biomassa, e produzione ed uso finale di energia avvengono a livello locale – rappresenta un contributo positivo verso il raggiungimento dell’indipendenza energetica e lo sviluppo economico locale.

Lo sfruttamento energetico delle biomasse endogene, di origine agricola, è obiettivo delle politiche energetiche europea, nazionale e regionale, ed è considerato strategico anche dalle politiche agricole e di sviluppo rurale comunitaria e regionale che prevedono specifiche misure per facilitare la conversione di alcune zone agricole verso le produzioni no-food e per la diversificazione dell’imprenditoria agraria. E’ il momento di creare una realtà locale in grado di salvaguardare l’ambiente.

E’ il momento di promuovere una coltura che non richieda trattamenti di fitofarmaci / diserbanti / concimanti, che contribuisca al risparmio idrico in agricoltura e che contrasti in modo efficace la desertificazione e la deforestazione, che sia in grado di svolgere un ruolo di bonifica dei suoli e dell’aria e che offra 15 tonnellate di sostanza secca per ettaro in soli quattro mesi. La canapa è tutto ciò e non solo perchè da essa si ottiene biomassa per la rivalutazione energetica ma anche materie prime per l’industria, come la fibra, da cui si possono produrre tessuti, biopolimeri, cellulosa, pannelli ad alta isolanza termica per la riqualificazione energetica degli edifici ed altro ancora.

La canapa rappresenta una preziosa opportunità per promuovere lo sviluppo industriale sostenibile rappresentando al contempo una fonte di reddito integrativo per le aziende agricole ed un’azione diretta alla bonifica dei siti ed al recupero dei suoli dismessi.

La lettera di Maria Luisa Busi "Non mi riconosco più nelTg1"

"Un giornalista ha un unico strumento per difendere le proprie convinzioni professionali: levare al pezzo la propria firma. Un conduttore, una conduttrice, può soltanto levare la propria faccia, a questo punto". E' questo uno dei punti centrali della lettera con cui Maria Luisa Busi ha annunciato l'intenzione di abbandonare la conduzione del Tg1 1. La missiva, tre cartelle e mezzo affisse nella bacheca della redazione del telegiornale, è indirizzata al direttore Augusto Minzolini e al Cdr, e per conoscenza al direttore generale della Rai Mauro Masi, al presidente dell'azienda Paolo Garimberti e al responsabile delle Risorse umane Luciano Flussi. Ecco il testo integrale.

"Caro direttore ti chiedo di essere sollevata dalla mansione di conduttrice dell'edizione delle 20 del Tg1, essendosi determinata una situazione che non mi consente di svolgere questo compito senza pregiudizio per le mie convinzioni professionali. Questa è per me una scelta difficile, ma obbligata. Considero la linea editoriale che hai voluto imprimere al giornale una sorta di dirottamento, a causa del quale il Tg1 rischia di schiantarsi contro una definitiva perdita di credibilità nei confronti dei telespettatori".

"Come ha detto il presidente della Commissione di Vigilanza Rai Sergio Zavoli: 'La più grande testata italiana, rinunciando alla sua tradizionale struttura ha visto trasformare insieme con la sua identità, parte dell'ascolto tradizionale".

Mafia, depistaggi e vittime dimenticate: il caso Alfano

Chiesta l'archiviazione dell'inchiesta sui mandanti occulti dell'omicidio del giornalista Beppe Alfano, ucciso l'8 gennaio del 1993 a Barcellona P.G. (ME).


A darne notizia è la figlia Sonia, europarlamentare dell'Idv e presidente associazione nazionale familiari vittime della mafia. Che ci racconta l'incredibile storia di questo omicidio apparentemente "piccolo": fra latitanti, miliardi, logge massoniche e false piste
"Mio padre era un insegnante di scuola media con l'hobby del giornalismo; ma nonostante ciò era uno dei pochissimi che facesse le inchieste". Così Sonia Alfano ricorda Beppe Alfano, reporter senza tesserino, segugio nel tempo libero, ma di talento straordinario. "Aveva intercettato a Barcellona Pozzo di Gotto Nitto Santapaola allora latitante, capo indiscusso di Cosa Nostra della Sicilia orientale; fu mio padre a dire al magistrato Olindo Canali che quella persona che a Barcellona tutti chiamavano zio Filippo altri non era che Santapaola. Purtroppo mio padre aveva ragione, ma quel suo fiuto, quella sua scoperta gli è costata la vita". E qui Sonia Alfano lancia un sospetto terribile: "Mio padre si era purtroppo rivolto al magistrato sbagliato. Quando confessò la presenza di Nitto Santapaola eravamo presenti solo io e il dottore Olindo Canali. Io per ovvi motivi non ho mai tradito mio padre e ho ragione di pensare che sia stata la terza persona che era con noi".
Beppe Alfano venne ucciso la sera dell'8 gennaio del 1993, tre proiettili esplosi con la calibro 22 lo colpirono mentre era al posto di guida della sua Renault 9. "La notte dell'omicidio, i servizi segreti Italiani fecero irruzione in casa del giornalista sequestrando di soppiatto tutti i carteggi ed i documenti raccolti da Alfano" si legge nel sito dell'Associazione dei familiari delle vittime di mafia: "Il suo computer, esaminato soltanto un decennio dopo la sua morte, risultò manomesso svariate volte nel corso degli anni. Dei documenti così come del contenuto del suo computer non si ha più traccia. Le piste che gli inquirenti intrapresero dopo la sua morte furono molteplici e molte delle quali possono essere definite veri e propri depistaggi a mezzo istituzionale".
Le indagini dei pm messinesi Gianclaudio Mango e Olindo Canali si concentrarono allora sullo scandalo Aias, l’associazione d’assistenza ai disabili. Come mandante dell'omicidio fu indicato il boss locale Pippo Gullotti, come esecutore Antonino Merlino. Il delitto doveva essere una cortesia al presidente dell’Aias Antonino Mostaccio, infastidito dalle inchieste di Alfano sull'ente. Una pista che non ha retto i vari gradi di giudizio, tanto che l'unico condannato a vedere confermata la condanna fu Gullotti.
Le indagini vengono riaperte nel 2002, dopo le rivelazioni del pentito Maurizio Avola, killer di Cosa Nostra che confessò ben 80 omicidi fra cui quello di un altro giornalista, Pippo Fava. Beppe Alfano sarebbe stato ucciso perché aveva scoperto che, dietro il commercio degli agrumi nella zona tirrenica messinese, si nascondevano gli interessi economici di Santapaola e d’insospettabili imprenditori legati alla massoneria. Un giro imponente di miliardi che faceva della periferica Barcellona un centro strategico per gli affari del capo dei capi della mafia catanese. "Il vero mandante dell’omicidio di Beppe Alfano, si chiama Sindoni, è un grosso massone" dichiarerà il pentito ai sostituti catanesi, Amedeo Bertone e Nicolò Marino: "Sindoni è un potente massone che conosce tutta la magistratura, quella corrotta logicamente: ha importanti amicizie al Ministero e un po' ovunque".
Intorno all'omicidio di Alfano, insomma, ci sono ancora tante ombre da dissipare e tante anomalie nelle stesse indagini. "Ci siamo opposti all'archiviazione e abbiamo chiesto un supplemento di indagine" dice ancora Sonia Alfano, secondo la quale sta lentamente finalmente venendo fuori tutto ciò che era stato ipotizzato dai familiari: innanzi tutto che dietro il delitto non c'è solo la manovalanza mafiosa e i piccoli boss locali, ma personaggi ben più grossi. E poi, racconta l'Alfano "c'è la presenza strana di Sco, Sisde e Ros. Noi pretendiamo di sapere dove sono andate a finire tutte le cassette video, le intercettazioni ambientali che ritraevano Santapaola in una pescheria a venti metri da casa nostra, così come confermato dal Ros. Vogliamo che vengano fuori quelle cassette".