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mercoledì 4 agosto 2010

Estate di sbarchi fantasma

IMMIGRAZIONE. Continuano gli arrivi a Lampedusa, nonostante i respingimenti. Una realtà occultata dalle autorità fatta di approdi notturni, soccorsi carenti e un Centro di accoglienza lasciato intenzionalmente deserto.


«Prima Lampedusa era l’isola “assediata”, invasa dai migranti. Ora è diventata l’isola “liberata”». Così Giacomo Sferlazzo, membro dell’associazione Arci Askavusa e responsabile del Festival delle migrazioni che ogni estate si tiene nell’avamposto mediterraneo, descrive il cambiamento della politica immigratoria che ha interessato Lampedusa. Salva l’immagine del porto turistico come l’efficienza della strategia del governo dei respingimenti in mare, quello che non si può e non si deve raccontare è che gli sbarchi non sono finiti.

Ieri una piccola imbarcazione è stata avvistata nelle acque territoriali italiane, a poca distanza dall’isola, le 39 persone a bordo trasbordate e condotte fino al centro di accoglienza di Porto Empedocle. Continuano, dunque, ad arrivare persone in fuga da territori di conflitto e violenza e, quando non vengono intercettati prima e rinviati in terra d’Africa, toccano terra. Frequentemente di notte, il più delle volte a piccoli gruppi.

«Personalmente da maggio ho assistito almeno a quattro sbarchi, di dieci-quindici persone al massimo», racconta Sferlazzo. Il più consistente è stato quello del 22 luglio scorso, quando sull’isola sono arrivate 53 persone. Una ricostruzione fedele viene documentata da un video disponibile su youtube,. A raccontare ciò che attende i migranti (in maggior parte richiedenti asilo) dopo una traversata di stenti attraverso il Mediterraneo, è Gianfranco Shiavone, dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi): «Le persone non sono state portate al Centro di Lampedusa, che è aperto ma vuoto. Sono state lasciate sul bordo di una strada provinciale dove transitano i turisti per almeno sette ore, sedute per terra sotto un telone improvvisato, con 40 gradi all’ombra».

Qualche panino e un po’ d’acqua, prima che i mezzi delle forze di polizia o carabinieri vengano a prenderli per imbarcarli verso la terraferma. L’ordine viene d’alto: nessun migrante deve restare a Lampedusa per più di 24 ore. Tanto meno trovare ristoro nella struttura di primo soccorso e accoglienza (Cspa). «Ho avuto testimonianza che questa procedura si ripete in altre circostanze», denuncia Schiavone, che dal sito dell’Asgi ha chiesto «al ministero dell’Interno di riferire al Parlamento e all’opinione pubblica le ragioni di tali scelte».

Le «altre circostanze» raccontano di migranti lasciati sostare nelle calette dell’isola o sul molo del porto cui viene garantita un’assistenza d’emergenza dagli operatori della Cooperativa Servizi sociali che gestisce il Cspa (Centro di soccorso e prima accoglienza) di Lampedusa dal primo giugno del 2007. «Persone stipendiate per lavorare in una struttura formalmente aperta ma non utilizzata» incalza Shiavone. Sono 10 unità, tra cui è presente soltanto un medico.

«La verità è che l’immigrato non vuole restare nel Centro», asserisce il direttore dell’ente gestore, Cono Galipò. Salvo ammettere che «se dipendesse da me, visite e prima accoglienza non le farei lì (al molo o in strada, ndr). Ma non possiamo andare oltre disposizioni e regole ben precise». Il sistema, che il presidente della Cooperativa definisce «eccessivamente rigido e dai tempi troppo stretti», va avanti dall’estate 2008.

«Non è una novità, è la regola», riferisce lo stesso Galipò. Un sistema che punta a smistare velocemente gli arrivi e a farlo, se possibile, lontano dai riflettori. Invisibili anche quando raggiungono il “porto sicuro”, i migranti non potevano aspettarsi a Lampedusa trattamento migliore.

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