Era in mano ai Casalesi -
Qui il boss dei casalesi Giuseppe Setola si incontrò con i suoi uomini dopo la strage di Castevolturno in cui furiono trucidati sei ragazzi africani
Caronte ci traghettava le anime verso gli Inferi, il boss dei Casalesi Giuseppe Setola incontrava i suoi uomini prima e dopo le spedizioni di morte. È successo dopo la strage di San Gennaro, il 19 settembre 2008, quando l’ala stragista dei casalesi cenò al ristorante “Aramacao”. La sera prima, il commando aveva seminato sangue e terrore a Castelvolturno: sette morti ammazzati con 120 proiettili con pistole e kalashnikov, sei extracomunitari e un italiano. Il giorno dopo, tutti gli uomini di Peppe ‘o Cecato, banchettavano sulle sponde dell’Averno. Così, duemila anni dopo Virgilio, il Lago si è trasformato da mito dei classici a teatro di camorra. Gli uomini della DIA di Napoli, guidati dal vicequestore Maurizio Vallone, hanno sequestrato la notte scorsa beni in possesso di Gennaro Cardillo, imprenditore arrestato un mese fa per favoreggiamento aggravato della latitanza del boss e dei suoi uomini. Nome in codice: “Operazione Sibilla”, come la profetessa che, secondo il mito, prediceva il futuro nel suo antro proprio all’interno del lago.
Un noto agriturismo, “Terra mia”, il ristorante-discoteca “Aramacao”, punto di ritrovo di centinaia di giovani napoletani nel fine settimana, la società “Country Club” che nel 1991 aveva acquistato lo specchio d’acqua raccontato nell’Eneide, la mitica “Porta degli Inferi”: tutti beni riconducibili al boss casertano, secondo la Procura di Napoli. «Appare evidente che il Cardillo ha operato acquisizioni di beni del tutto sproporzionati rispetto ai redditi dichiarati» scrivono nel decreto di sequestro i magistrati della DDA coordinati dall’aggiunto Federico Cafiero de Raho. Tra il 1997 e il 2008, Cardillo aveva dichiarato redditi esigui (circa 30 mila euro in 10 anni, ndr) ma nel 2009 era stato in grado di acquisire l’intero pacchetto azionario della “Country Club” e, con essa, il Lago d’Averno. Un affare dal valore inestimabile, proprio all’indomani dell’arresto a Mignano Montelugo, nel casertano, della primula rossa dei casalesi. Da allora, gli investigatori si sono concentrati sulla rete di contatto che aveva favorito la latitanza di Setola. Insospettabili che hanno prestato ospitalità, garantito l’appoggio e gli spostamenti per i raid punitivi del boss stragista. A cominciare da John Perham jr, un cittadino italo-americano figlio di un ufficiale a stelle e strisce, ultimo uomo di fiducia del boss e arrestato con lui dopo essere scappato per le fogne dal bunker di Trentola Ducenta.
Dai fiancheggiatori ai prestanome: ora, DDA e Forze dell’Ordine stringono il cerchio attorno a chi ha gestito gli affari e reinvestito il tesoro del casalese stragista. Il primo sequestro, un anno fa, era stato quello della società “General Impianti”, azienda di manutenzione a lungo di proprietà di Pasquale Setola, fratello del boss, poi passata di mano in maniera fittizia. Era la società che in passato si era aggiudicata appalti pubblici per 400mila euro senza gara dall’amministrazione provinciale di Caserta, allora guidata da Sandro De Francisciis. Un mese fa, nuovi sequestri e l’arresto, tra gli altri, di Gennaro Cardillo al quale, oggi, sono stati sequestrati beni per 15 milioni di euro.
Un provvedimento che restituisce allo Stato uno dei luoghi più suggestivi della storia e della mitologia: dove aveva fallito la burocrazia ci è riuscita la DIA di Napoli. Nel 1991, la vendita per 1,2 miliardi di lire aveva suscitato scalpore e polemiche. Il Ministero dei Beni Culturali aveva promesso di acquisire il bene. Ci fu una lunga contesa legale e due sentenze opposte – una della Cassazione, l’altra del Consiglio di Stato – ma il Lago d’Averno è rimasto in mani private per poi diventare, secondo gli investigatori, patrimonio dei casalesi. Fino all’intervento della DIA che ha sancito una nuova alba per il “Lago di Virgilio”.
Un provvedimento che restituisce allo Stato uno dei luoghi più suggestivi della storia e della mitologia: dove aveva fallito la burocrazia ci è riuscita la DIA di Napoli. Nel 1991, la vendita per 1,2 miliardi di lire aveva suscitato scalpore e polemiche. Il Ministero dei Beni Culturali aveva promesso di acquisire il bene. Ci fu una lunga contesa legale e due sentenze opposte – una della Cassazione, l’altra del Consiglio di Stato – ma il Lago d’Averno è rimasto in mani private per poi diventare, secondo gli investigatori, patrimonio dei casalesi. Fino all’intervento della DIA che ha sancito una nuova alba per il “Lago di Virgilio”.
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